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And a “known” individual, too!

Le città invisibili di Claudio Cumin

In Mostra alla

Sala Comunale d'Arte G. Negrisin

Piazza Marconi, 1 - Muggia (Trieste)

dall 8 febbraio all 4 marzo 2012

www.benvenutiamuggia.eu

 

Le città nascoste. 5.

 

Anziché dirti di Berenice, città ingiusta, che incorona con triglifi abachi metope gli ingranaggi dei suoi macchinari tritacarne (gli addetti al servizio di lucidatura quando alzano il mento sopra le balaustre e contemplano gli atri, le scalee, i pronai si sentono ancora piú prigionieri e bassi di statura), dovrei parlarti della Berenice nascosta, la città dei giusti, armeggianti con materiali di fortuna nell’ombra di retrobotteghe e sottoscale, allacciando una rete di fili e tubi e carrucole e stantuffi e contrappesi che s’infiltra come una pianta rampicante tra le grandi ruote dentate (quando queste s’incepperanno, un ticchettio sommesso avvertirà che un nuovo esatto meccanismo governa la città); anziché rappresentarti le vasche profumate delle terme sdraiati sul cui bordo gli ingiusti di Berenice intessono con rotonda eloquenza i loro intrighi e osservano con occhio proprietario le rotonde carni delle odalische che si bagnano, dovrei dirti di come i giusti, sempre guardinghi per sottrarsi alle spiate dei sicofanti e alle retate dei giannizzeri, si riconoscano dal modo di parlare, specialmente dalla pronuncia delle virgole e delle parentesi; dai costumi che serbano austeri e innocenti eludendo gli stati d’animo complicati e ombrosi; dalla cucina sobria ma saporita, che rievoca un’antica età

dell’oro: minestrone di riso e sedano, fave bollite, fiori di zucchino fritti.

Da questi dati è possibile dedurre un’immagine della Berenice futura, che ti avvicinerà alla conoscenza del vero piú d’ogni notizia sulla città quale oggi si mostra. Sempre che tu tenga conto di ciò che sto per dirti: nel seme della città dei giusti sta nascosta a sua volta una semenza maligna; la certezza e l’orgoglio d’essere nel giusto – e d’esserlo piú di tanti altri che si dicono giusti piú

del giusto – fermentano in rancori rivalità ripicchi, e il naturale desiderio di rivalsa sugli ingiusti si tinge della smania d’essere al loro posto a far lo stesso di loro. Un’altra città ingiusta, pur sempre diversa dalla prima, sta dunque scavando il suo spazio dentro il doppio involucro delle Berenici ingiusta e giusta. Detto questo, se non voglio che il tuo sguardo colga un’immagine deformata, devo attrarre la tua attenzione su una qualità intrinseca di questa città ingiusta che germoglia in segreto nella segreta città giusta: ed è il possibile risveglio – come un concitato aprirsi di finestre – d’un latente amore per il giusto, non ancora sottoposto a regole, capace di ricomporre una città piú giusta ancora di quanto non fosse prima di diventare recipiente dell’ingiustizia. Ma se si scruta ancora nell’interno di questo nuovo germe del giusto vi si scopre una macchiolina che si dilata come la crescente inclinazione a imporre ci• che è giusto attraverso ciò che è ingiusto, e forse è il germe d’un’immensa metropoli...

Dal mio discorso avrai tratto la conclusione che la vera Berenice è una successione nel tempo di città diverse, alternativamente giuste e ingiuste. Ma la cosa di cui volevo avvertirti è un’altra: che tutte le Berenici future sono già presenti in questo istante, avvolte l’una dentro l’altra, strette pigiate indistricabili.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

Le città invisibili di Claudio Cumin

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Piazza Marconi, 1 - Muggia (Trieste)

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Le città e i segni. 1.

 

L’uomo cammina per giornate tra gli alberi e le pietre. Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed è quando l’ha riconosciuta per il segno d’un altra cosa: un’impronta sulla sabbia indica il passaggio della tigre, un pantano annuncia una vena d’acqua, il fiore dell’ibisco la fine dell’inverno. Tutto il resto è muto e intercambiabile; alberi e pietre sono soltanto ciò che sono. Finalmente il viaggio conduce alla città di Tamara. Ci si addentra per vie fitte d’insegne che sporgono dai muri. L’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose: la tenaglia indica la casa del cavadenti, il boccale la taverna, le alabarde il corpo di guardia, la stadera l’erbivendola. Statue e scudi rappresentano leoni delfini torri stelle: segno che qualcosa – chissà cosa – ha per segno un leone o delfino o torre o stella. Altri segnali avvertono di ciò che in un luogo è proibito – entrare nel vicolo con i carretti, orinare dietro l’edicola, pescare con la canna dal ponte – e di ciò che è lecito – abbeverare le zebre, giocare a bocce, bruciare i cadaveri dei parenti. Dalla porta dei templi si vedono le statue degli dei, raffigurati ognuno coi suoi attributi: la cornucopia, la clessidra, la medusa, per cui il fedele può riconoscerli e rivolgere loro le preghiere giuste. Se un edificio non porta nessuna insegna o figura, la sua stessa forma e il posto che occupa nell’ordine della città bastano a indicarne la funzione: la reggia, la prigione, la zecca, la scuola pitagorica, il bordello. Anche le mercanzie che i venditori mettono in mostra sui banchi valgono non per se stesse ma come segni d’altre cose: la benda ricamata per la fronte vuol dire eleganza, la portantina dorata potere, i volumi di Averroè sapienza, il monile per la caviglia voluttà. Lo sguardo percorre le vie come pagine scritte: la città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti.

Come veramente sia la città sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga o nasconda, l’uomo esce da Tamara senza averlo saputo. Fuori s’estende la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il vento dànno alle nuvole l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

 

My portfolio of Città invisibili portfolio.fotocommunity.it/claudionimuc

(salmon, onion, celery, basmati, rice, eggs, coriander, ginger, bay leaves, oregano, ground coriander, ground cumin, ground turmeric, salt, black pepper, butter, oil, lime juice)

Image a plate- of 2 double wrapped piping hot-Tamales.

Now- open these bundles of yummmm wrapped in a dark green banana leaf- smell those Tomatillos & Serrano Chilies?

Taste that shredded Chicken living melded with those Green Chile Goodness, and the savory soft MASA- OMG- good!

 

2 for $5.00.

Only Sat morning- and Sunday morning.

From the "trunk" of his SUV, or his wife's, around the corner.

Each bite- makes you happy.

Le città invisibili di Claudio Cumin

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Piazza Marconi, 1 - Muggia (Trieste)

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Le città e i morti. 1.

 

A Melania, ogni volta che si entra nella piazza, ci si trova in mezzo a un dialogo: il soldato millantatore e il parassita uscendo da una porta s’incontrano col giovane scialacquatore e la meretrice; oppure il padre avaro dalla soglia fa le ultime raccomandazioni alla figlia amorosa ed è interrotto dal servo sciocco che va a portare un biglietto alla mezzana. Si ritorna a Melania dopo anni e si ritrova lo stesso dialogo che continua; nel frattempo sono morti il parassita, la mezzana, il padre avaro; ma il soldato millantatore, la figlia amorosa, il servo sciocco hanno preso il loro posto, sostituiti alla loro volta dall’ipocrita, dalla confidente, dall’astrologo. La popolazione di Melania si rinnova: i dialoganti muoiono a uno a uno e intanto nascono quelli che prenderanno posto a loro volta nel dialogo, chi in una parte chi nell’altra. Quando qualcuno cambia di parte o abbandona la piazza per sempre o vi fa il suo primo ingresso, si producono cambiamenti a catena, finché tutte le parti non sono distribuite di nuovo; ma intanto al vecchio irato continua a rispondere la servetta spiritosa, l’usuraio non smette d’inseguire il giovane diseredato, la nutrice di consolare la figliastra, anche se nessuno di loro conserva gli occhi e la voce che aveva nella scena precedente. Capita alle volte che un solo dialogante sostenga nello stesso tempo due o piú parti: tiranno, benefattore, messaggero; o che una parte sia sdoppiata, moltiplicata, attribuita a cento, a mille abitanti di Melania: tremila per l’ipocrita, trentamila per lo scroccone, centomila figli di re caduti in bassa fortuna che attendono il riconoscimento. Col passare del tempo anche le parti non sono piú esattamente le stesse di prima; certamente l’azione che esse mandano avanti attraverso intrighi e colpi di scena porta verso un qualche scioglimento finale, cui continua ad avvicinarsi anche quando la matassa pare ingarbugliarsi di piú e gli ostacoli aumentare. Chi s’affaccia alla piazza in momenti successivi sente che d’atto in atto il dialogo cambia, anche se le vite degli abitanti di Melania sono troppo brevi per accorgersene.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

Le città invisibili di Claudio Cumin

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Le città sottili. 3.

 

Se Armilla sia cosí perché incompiuta o perché demolita, se ci sia dietro un incantesimo o solo un capriccio, io lo ignoro. Fatto sta che non ha muri, né soffiti, né pavimenti: non ha nulla che la faccia sembrare una città, eccetto le tubature dell’acqua, che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramano dove dovrebbero esserci i piani: una foresta di tubi che finiscono in rubinetti, docce, sifoni, troppopieni. Contro il cielo biancheggia qualche lavabo o vasca da bagno o altra maiolica, come frutti tardivi rimasti appesi ai rami. Si direbbe che gli idraulici abbiano compiuto il loro lavoro e se ne siano andati prima dell’arrivo dei muratori; oppure che i loro impianti, indistruttibili, abbiano resistito a una catastrofe, terremoto o corrosione di termiti. Abbandonata prima o dopo essere stata abitata, Armilla non può dirsi deserta. A qualsiasi ora, alzando gli occhi tra le tubature, non è raro scorgere una o molte giovani donne, snelle, non alte di statura, che si crogiolano nelle vasche da bagno, che si inarcano sotto le docce sospese sul vuoto, che fanno abluzioni, o che s’asciugano, o che si profumano, o che si pettinano i lunghi capelli allo specchio. Nel sole brillano i fili d’acqua sventagliati dalle docce, i getti dei rubinetti, gli zampilli, gli schizzi, la schiuma delle spugne.

La spigazione cui sono arrivato è questa: dei corsi d’acqua incanalati nelle tubature d’Armilla sono rimaste padrone ninfe e naiadi. Abituate a risalire le vene sotterranee, è stato loro facile inoltrarsi nel nuovo regno acquatico, sgorgare da fonti moltiplicate, trovare nuovi specchi, nuovi giochi, nuovi modi di godere dell’acqua. Può darsi che la loro invasione abbia scacciato gli uomini, o può darsi che Armilla sia stata costruita dagli uomini come un dono votivo per ingraziarsi le ninfe offese per la manomissione delle acque. Comunque, adesso sembrano contente, queste donnine: al mattino si sentono cantare.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

 

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The same age, purchased from

the same source (A Dog Pimp/Procurer) in S. Michigan-

Cumin's had a long-time (in Dog Years)

of "knowing" Miss Peanut,

from practicing Puppy-Love,

to now- at 1.75 years of age-

some more refined Pepe le Pew shennanigans.

Summertime or at least summer heat is hitting many of us in many places around the world. This quick and delicious recipe keeps the heat out of the kitchen and creates a light and flavorful meal that keeps things simple and light. Plump chicken tenderloins are treated to an aromatic yogurt marinade before being skewered and grilled and served with light and fluffy rice and a chilled salad of baby greens with seasonal fruits and crip vegetables.

 

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First I thought it was fennel seeds but then I asked my wife and she said it is cumin seeds. I have taken this photo with my Nikon D600 using reverse lens technique. This is one of the affordable macro photography setup.

 

ground beef, cumin, smoked paprika. chili powder, a couple chipotles in adobo, kidney beans. pinto beans. chopped tomato, tomato paste, white onion, garlic, beef bone broth, elbow macaroni, and left over shredded mixed cheese from the fridge.

Pretty darned good, and better than my memories from childhood. Of course I'm cooking for two adults and not a house full of hungry kids. I get to upgrade my ingredients!

Le città invisibili di Claudio Cumin

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Le città e il desiderio. 3.

 

In due modi si raggiunge Despina: per nave o per cammello. La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare.

Il cammelliere che vede spuntare all’orizzonte dell’altipiano i pinnacoli dei grattacieli, le antenne radar, sbattere le maniche a vento bianche e rosse, buttare fumo i fumaioli, pensa a una nave, sa che è una città ma la pensa come un bastimento che lo porti via dal deserto, un veliero che stia per salpare, col vento che già gonfia le vele non ancora slegate, o un vapore con la caldaia che vibra nella carena di ferro, e pensa a tutti i porti, alle merci d’oltremare che le gru scaricano sui moli, alle osterie dove equipaggi di diversa bandiera si rompono bottiglie sulla testa, alle finestre illuminate a pianterreno, ognuna con una donna che si pettina. Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d’una gobba di cammello, d’una sella ricamata di frange luccicanti tra due gobbe chiazzate che avanzano dondolando, sa che è una città ma la pensa come un cammello dal cui basto pendono otri e bisacce di frutta candita, vino di datteri, foglie di tabacco, e già si vede in testa ad una lunga carovana che lo porta via dal deserto del mare, verso oasi d’acqua dolce all’ombra seghettata delle palme, verso palazzi dalle spesse mura di calce, dai cortili di piastrelle su cui ballano scalze le dannzatrici, e muovono le braccia un po’ nel velo e un po’ fuori dal velo. Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e cosí il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

 

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Le città e la memoria. 5.

 

A Maurilia, il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com’era prima: la stessa identica piazza con una gallina al posto della stazione degli autobus, il chiosco della musica al posto del cavalcavia, due signorine col parasole bianco al posto della fabbrica di esplosivi. Per non deludere gli abitanti occorre che il viaggiatore lodi la città nelle cartoline e la preferisca a quella presente, avendo però cura di contenere il suo rammarico per i cambiamenti entro regole precise: riconoscendo che la magnificenza a prosperità di Maurilia diventata metropoli, se confrontate con la vecchia Maurilia provinciale, non ripagano d’una certa grazia perduta, la quale può tuttavia essere goduta sol tanto adesso nella vecchie cartoline, mentre prima, con la Maurilia provinciale sotto gli occhi, di grazioso non ci si vedeva proprio nulla, e men che meno ce lo si vedrebbe oggi, se Maurilia fosse rimasta tale e quale, e che comunque la metropoli ha questa attrattiva in piú, che attraverso ciò che è diventata si può ripensare con nostalgia a quella che era.

Guardatevi dal dir loro che talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome, nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro. Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l’accento delle voci, e perfino i lineamenti delle facce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei. È vano chiedersi se essi sono migliori o peggiori degli antichi, dato che non esiste tra loro alcun rapporto, cosí come le vecchie cartoline non rappresentano Maurilia com’era, ma un’altra città che per caso si chiamava Maurilia come questa.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

 

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Melted butter with a splash of lemon juice, a dash of curry powder and ground cumin, about to be drizzled over fresh steamed asparagus...

  

IMG_4472_filtered with Neat Image

Le città invisibili di Claudio Cumin

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Le città nascoste. 3.

 

Una Sibilla, interrogata sul destino di Marozia, disse:

– Vedo due città: una del topo, una della rondine. L’oracolo fu interpretato cosí: oggi Marozia è una città dove tutti corrono in cunicoli di piombo come branchi di topi che si strappano di sotto i denti gli avanzi caduti dai denti dei topi piú minacciosi; ma sta per cominciare un nuovo secolo in cui tutti a Marozia voleranno come le rondini nel cielo d’estate, chiamandosi come in un gioco, esibendosi in volteggi ad ali ferme, sgombrando l’aria da zanzare e moscerini.

– È tempo che il secolo del topo abbia termine e cominci quello della rondine, – dissero i piú risoluti. E di fatto già sotto il torvo e gretto predominio topesco si sentiva, tra la gente meno in vista, covare uno slancio da rondini, che puntano verso l’aria trasparente con un agile colpo di coda e disegnano con la lama delle ali la curva d’un orizzonte che s’allarga. Sono tornato a Marozia dopo anni; la profezia della Sibilla si considera avverata da tempo; il vecchio secolo è sepolto; il nuovo è al culmine. La città certo è cambiata, e forse in meglio. Ma le ali che ho visto in giro sono quelle d’ombrelli diffidenti sotto i quali palpebre pesanti s’abbassano sugli sguardi; gente che crede di volare ce n’è, ma è tanto se si sollevano dal suolo sventolando palandrane da pipistrello. Succede pure che, rasentando i compatti muri di Marozia, quando meno t’aspetti vedi aprirsi uno spiraglio e apparire una città diversa, che dopo un istante è già sparita. Forse tutto sta a sapere quali parole pronunciare, quali gesti compiere, e in quale ordine e ritmo, oppure basta lo sguardo la risposta il cenno di qualcuno, basta che qualcuno faccia qualcosa per il solo piacere di farla, e perché il suo piacere diventi piacere altrui: in quel momento tutti gli spazi cambiano, le altezze, le distanze, la città si trasfigura, diventa cristallina, trasparente come una libellula. Ma bisogna che tutto capiti come per caso, senza dargli troppa importanza, senza la pretesa di star compiendo una operazione decisiva, tenendo ben presente che da un momento all’altro la Marozia di prima tornerà a saldare il suo soffitto di pietra ragnatele e muffa sulle teste. L’oracolo sbagliava? Non è detto. Io lo interpreto in questo modo: Marozia consiste di due città: quella del topo e quella della rondine; entrambe cambiano nel tempo; ma non cambia il loro rapporto: la seconda è quella che sta per sprigionarsi dalla prima.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

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Le città e i segni. 4.

 

Di tutti i cambiamenti di lingua che deve affrontare il viaggiatore in terre lontane, nessuno uguaglia quello che lo attende nella città di Ipazia, perché non riguarda le parole ma le cose. Entrai a Ipazia un mattino, un giardino di magnolie si specchiava su lagune azzurre, io andavo tra le siepi sicuro di scoprire belle e giovani dame fare il bagno: ma in fondo all’acqua i granchi mordevano gli occhi delle suicide con la pietra legata al collo e i capelli verdi d’alghe. Mi sentii defraudato e volli chiedere giustizia al sultano. Salii le scale di porfido del palazzo dalle cupole piú alte, attraversai sei cortili di maiolica con zampilli. La sa la nel mezzo era sbarrata da inferriate: i forzati con nere catene al piede issavano rocce di basalto da una cava che s’apre sottoterra.

Non mi restava che interrogare i filosofi. Entrai nella grande biblioteca mi persi tra scaffali che crollavano sotto le rilegature in pergamena, seguii l’ordine alfabetico d’alfabeti scomparsi, su e giú per corridoi, scalette e ponti. Nel piú remoto gabinetto dei papiri, in una nuvola di fumo, mi appervero gli occhi inebetiti d’un adolescente sdaiato su una stuoia, che non staccava le labbra da una pipa d’oppio.

– Dov’è il sapiente? – Il fumatore indicò fuori della finestra. Era un giardino con giochi infantili: i birilli, l’altalena, la trottola. Il filosofo sedeva sul prato. Disse: – I segni formano una lingua, ma non quella che credi di conoscere –. Capii che dovevo liberarmi dalle immagini che fin qui m’avevano annunciato le cose che cercavo: solo allora sarei riuscito a intendere il linguaggio di Ipazia. Ora basta che senta nitrire i cavalli e schioccare le fruste e già mi prende una trepidazione amorosa: a Ipazia devi entrare nelle scuderie e nei maneggi per vedere le belle donne che montano in sella con le cosce nude e i gambali sui polpacci, e apppena s’avvicina un giovane straniero lo rovesciano su mucchi di fieno o di segatura e lo premono con i saldi capezzoli.

E quando il mio animo non chiede altro alimento e stimolo che la musica, so che va cercata nei cimiteri: i suonatori si nascondono nelle tombe; da una fossa all’altra si rispondono trilli di flauti, accordi d’arpe. Certo anche a Ipazia verrà il giorno in cui il solo mio desiderio sarà partire. So che non dovrò scendere al porto ma salire sul pinnacolo piú alto della rocca ed aspettare che una nave passi lassú. Ma passerà mai? Non c’è linguaggio senza inganno.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

 

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(Mr.) Butter- the Senior of The Pack

Miss Peanut- aka "Princess" in Pink a Pomeranian/Yorkie Mix

Cumin- The Adolescent sniffing on Miss Peanut's Naughty bits!

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Le città nascoste. 1.

 

A Olinda, chi ci va con una lente e cerca con attenzione può trovare da qualche parte un punto non piú grande d’una capocchia di spillo che a guardarlo un po’ ingrandito ci si vede dentro i tetti le antenne i lucernari i giardini le vasche, gli striscioni attraverso le vie, i chioschi nelle piazze, il campo per le corse dei cavalli. Quel punto non resta lí: dopo un anno lo si trova grande come un mezzo limone, poi come un fungo porcino, poi come un piatto da minestra. Ed ecco che diventa una città grandezza naturale, racchiusa dentro la città di prima: una nuova città che si fa largo in mezzo alla città di prima e la spinge verso il fuori.

Olinda non è certo la sola città a crescere in cerchi concentrici, come i tronchi degli alberi che ogni anno aumentano d’un giro. Ma alle altre città resta nel mezzo la vecchia cerchia delle mura stretta stretta, da cui spuntano rinsecchiti i campanili le torri i tetti d’embrici le cupole, mentre i quartieri nuovi si spanciano intorno come da una cintura che si slaccia. A Olinda no: le vecchie mura si dilatano portandosi con sé i quartieri antichi, ingranditi mantenendo le proporzioni su un piú largo orizzonte ai confini della città; essi circondano i quartieri un po’ meno vecchi, pure cresciuti di perimetro e assottigliati per far posto a quelli piú recenti che premono da dentro; e cosí via fino al cuore della città: un’Olinda tutta nuova che nelle sue dimensioni ridotte conserva i tratti e il flusso di linfa della prima Olinda e di tutte le Olinde che sono spuntate una dall’altra; e dentro a questo cerchio piú interno già spuntano – ma è difficile distinguerle – l’Olinda ventura e quelle che cresceranno in seguito.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

Homemade organic WaterMelon Kababs garnished with roasted ground cumin seeds and black salt. Please feel free to dive in :)

  

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ryansikdar@gmail.com

 

"Sharing a Two-Skewer Shrimp, Spicy Pickle, Cheese, Olive, Cumin And Many Other Months and Years of a Masterpiece in the Making: OldBay Vodka BloodyMary Goodness; c/o my Brother; Six Month Reunion, Sunday Morning Style." Wallingford, Pennsylvania, United States of America; 2/8/15.

 

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Cumino è l'ultimo di ben nove cuccioli arrivati da noi al Rifugio Ohana, i suoi fratellini sono stati adottati, l'ultima, Caramella, domenica, mentre lui ora è solo ed è un po' triste! Così l'abbiamo portato per la prima volta in passeggiata, con ben due pettorine per sicurezza, e si è dimostrato abbastanza bravo, ancora due o tre uscite e sarà perfetto. Forza adottiamo Cumino!

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Le città e i morti. 4.

 

Ciò che fa Argia diversa dalle altre città è che invece d’aria ha terra. Le vie sono completamente interrate, le stanze sono piene d’argilla fino al soffitto, sulle scale si posa un’altra scala in negativo, sopra i tetti delle case gravano strati di terreno roccioso come cieli con le nuvole. Se gli abitanti possono girare per la città allargando i cunicoli dei vermi e le fessure in cui s’insinuano le radici non lo sappiamo: l’umidità sfascia i corpi e lascia loro poche forze; conviene che restino fermi e distesi, tanto è buio.

Di Argia, da qua sopra, non si vede nulla; c’è chi dice:“È là sotto” e non resta che crederci; i luoghi sono deserti. Di notte, accostando l’orecchio al suolo, alle volte si sente una porta che sbatte.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

Flicking through some shots from Layburn I just had to post this one for its comedy appeal. Laid flat, long distance, hiding behind fence posts. Caught this little chap cleaning away

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Le città sottili. 4.

 

La città di Sofronia si compone di due mezze città. In una c’è il grande ottovolante dalle ripide gobbe, la giostra con la raggiera di catene, la ruota delle gabbie girevoli, il pozzo della morte con i motociclisti a testa in giù, la cupola del circo col grappolo dei trapezi che pende in mezzo. L’altra mezza città è di pietra e marmo e cemento, con la banca, gli opifici, i palazzi, il mattatoio, la scuola e tutto il resto. Una delle mezze città è fissa, l’altra è provvisoria e quando il tempo della sua sosta è finito la schiodano, la smontano e la portano via, per trapiantarla nei terreni vaghi d’un’altra mezza città. Cosí ogni anno arriva il giorno in cui i manovali staccano i frontoni di marmo, calano i muri di pietra, i piloni di cemento, smontano il ministero, il monumento, i docks, la raffineria di petrolio, l’ospedale, li caricano sui rimorchi, per seguire di piazza in piazza l’itinerario d’ogni anno. Qui resta la mezza Sofronia dei tirassegni e delle giostre, con il grido sospeso dalla navicella dell’ottovolante a capofitto, e comincia a contare quanti mesi, quanti giorni dovrà aspettare prima che ritorni la carovana e la vita intera ricominci.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

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Le città continue. 4.

 

Tu mi rimproveri perché ogni mio racconto ti trasporta nel bel mezzo d’una città senza dirti dello spazio che s’estende tra una città e l’altra: se lo coprano mari, campi di segale, foreste di larici, paludi. Ti risponderò con un racconto.Per le vie di Cecilia, città illustre, incontrai una volta un capraio che spingeva rasente i muri un armento scampanante.– Uomo benedetto dal cielo, – si fermò a chiedermi, – sai dirmi il nome della città in cui ci troviamo?– Che gli dei t’accompagnino! – esclamai. – Come puoi non riconoscere la molto illustre città di Cecilia?– Compatiscimi, – rispose quello, – sono un pastore in transumanza. Tocca alle volte a me e alle capre di traversare città; ma non sappiamo distinguerle. Chiedimi il nome dei pascoli: li conosco tutti, il Prato tra le Rocce, il Pendio Verde, l’Erba in Ombra. Le città per me non hanno nome: sono luoghi senza foglie che separano un pascolo dall’altro, e dove le capre si spaventano ai crocevia e si sbandano. Io e il cane corriamo per tenere compatto l’armento.

– Al contrario di te, – affermai, – io riconosco solo le città e non distinguo ciò che è fuori. Nei luoghi disabitati ogni pietra e ogni erba si confonde ai miei occhi con ogni pietra ed erba.Molti anni sono passati da allora; io ho conosciuto molte città ancora e ho percorso continenti. Un giorno camminavo tra angoli di case tutte uguali: mi ero perso. Chiesi a un passante:–Che gli immortali ti proteggano, sai dirmi dove ci troviamo?– A Cecilia, cosí non fosse! – mi rispose. – Da tanto camminiamo per le sue vie, io e le capre, e non s’arriva a uscirne...Lo riconobbi, nonostante la lunga barba bianca: era il pastore di quella volta. Lo seguivano poche capre spelate, che neppure piú puzzavano, tanto erano ridotte pelle e ossa. Brucavano cartaccia nei bidoni dei rifiuti.

– Non può essere! – gridai. – Anch’io, non so da quando, sono entrato in una città e da allora ho continuato ad addentrarmi per le sue vie. Ma come ho fatto ad arrivare dove tu dici, se mi trovavo in un’altra città, lontanissima da Cecilia, e non ne sono ancora uscito? – I luoghi si sono mescolati, – disse il capraio, – Cecilia è dappertutto; qui una volta doveva esserci il Prato della Salvia Bassa. Le mie capre riconoscono le erbe dello spartitraffico.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

Cumin flowers

star anise, pepper and cumin on wooden bredboard

Spice of the week is Zeera (cumin seeds) in three different forms...White Cumin seeds, Black Cumin seeds and Roasted ground white Cumin seeds. Roasted ground Zeera is one of my personal favorite ingredient in South Asian cooking, and I use it in about everything :)

 

Have a spicy week everyone :)

A side note: After sending this image to

Cumin Fans & Friends in The US & in Portugal,

most, Dog owners as well....so far 5 of them,

Woman, have asked

to be "Arrested" by this hot dude,

or

have asked me to forward their address

for a "Well-being-Check" !

 

; P

Le città invisibili di Claudio Cumin

In Mostra alla

Sala Comunale d'Arte G. Negrisin

Piazza Marconi, 1 - Muggia (Trieste)

dall 8 febbraio all 4 marzo 2012

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Le città continue. 3.

 

Ogni anno nei miei viaggi faccio sosta a Procopia e prendo alloggio nella stessa stanza della stessa locanda. Fin dalla prima volta mi sono soffermato a contemplare il paesaggio che si vede spostando la tendina della finestra: un fosso, un ponte, un muretto, un albero di sorbo, un campo di pannocchie, un roveto con le more, un pollaio, un dosso di collina giallo, una nuvola bianca, un pezzo di cielo azzurro a forma di trapezio. Sono sicuro che la prima volta non si vedeva nessuno; è stato solo l’anno dopo che, a un movimento tra le foglie, ho potuto distinguere una faccia tonda e piatta che rosicchiava una pannocchia. Dopo un anno erano in tre sul muretto, e al mio ritorno ce ne vidi sei, seduti in fila, con le mani sui ginocchi e qualche sorba in un piatto. Ogni anno, appena entrato nella stanza, alzavo la tendina e contavo alcune facce in piú: sedici, compresi quelli giù nel fosso; ventinove,di cui otto appollaiati sul sorbo; quarantasette senza contare quelli nel pollaio. Si somigliano, sembrano gentili, hanno lentiggini sulle guance, sorridono, qualcuno con la bocca sporca di more. Presto vidi tutto il ponte pieno di tipi dalla faccia tonda, accoccolati perché non avevano piú posto per muoversi; sgranocchiavano le pannocchie, poi rodevano i torsoli. Cosí, un anno dopo l’altro ho visto sparire il fosso, l’albero , il roveto, nascosti da siepi di sorrisi tranquilli, tra le guance tonde che si muovono masticando foglie. Non si ha idea, in uno spazio ristretto come quel campicello di granturco, quanta gente ci può stare, specie se messi seduti con le braccia intorno ai ginocchi, fermi.Devono essercene molti di piú di quanto sembra: il dosso della collina l’ho visto coprirsi d’una folla sempre piú fitta; ma da quando quelli sul ponte hanno preso l’abitudine di stare a cavalcioni l’uno sulle spalle dell’altro non riesco piú a spingere lo sguardo tanto in là. Quest’anno, infine, a alzare la tendina, la finestra inquadra solo una distesa di facce: da un angolo all’altro, a tutti i livelli e a tutte le distanze, si vedono questi visi tondi, fermi, piatti piatti, con un accenno di sorriso, e in mezzo molte mani, che si tengono alle spalle di quelli che stanno davanti. Anche il cielo è sparito. Tanto vale che mi allontani dalla finestra.

Non che i movimenti mi siano facili. Nella mia stanza siamo alloggiati in ventisei: per spostare i piedi devo disturbare quelli che stanno accoccolati sul pavimento, mi faccio largo tra i ginocchi di quelli seduti sul cassettone e i gomiti di quelli che si dànno il turno per appoggiarsi al letto: tutte persone gentili, per fortuna.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

Le città invisibili di Claudio Cumin

In Mostra alla

Sala Comunale d'Arte G. Negrisin

Piazza Marconi, 1 - Muggia (Trieste)

dall 8 febbraio all 4 marzo 2012

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Le città e il cielo. 1.

 

A Eudossia, che si estende in alto e in basso, con vicoli tortuosi, scale, angiporti, catapecchie, si conserva un tappeto in cui puoi contemplare la vera forma della città. A prima vista nulla sembra assomigliare meno a Eudossia che il disegno del tappeto, ordinato in figure simmetriche che ripetono i loro motivi lungo linee rette e circolari, intessuto di gugliate dai colori splendenti, l’alternarsi delle cui trame puoi seguire lungo tutto l’ordito. Ma se ti fermi a osservarlo con attenzione, ti persuadi che a ogni luogo del tappeto corrisponde un luogo della città e che tutte le cose contenute nella città sono comprese nel disegno, disposte secondo i loro veri rapporti, quali sfuggono al tuo occhio distratto dall’andirivieni dal brulichio dal pigia–pigia. Tutta la confusione di Eudossia, i ragli dei muli, le macchie di nerofumo, l’odore di pesce, è quanto appare nella prospettiva parziale che tu cogli; ma il tappeto prova che c’è un punto dal quale la città mostra le sue vere proporzioni, lo schema geometrico implicito in ogni suo minimo dettaglio.

Perdersi a Eudossia è facile: ma quando ti concentri a fissare il tappeto riconosci la strada che cercavi in un filo cremisi o indaco o amaranto che attraverso un lungo giro ti fa entrare in un recinto color porpora che è il tuo vero punto d’arrivo. Ogni abitante di Eudossia confronta all’ordine immobile del tappeto una sua immagine della città, una sua angoscia, e ognuno può trovare nascosta tra gli arabeschi una risposta, il racconto della sua vita, le svolte del destino. Sul rapporto misterioso di due oggetti cosí diversi come il tappeto e la città fu interrogato un oracolo. Uno dei due oggetti, – fu il responso, – ha la forma che gli dei diedero al cielo stellato e alle orbite su cui ruotano i mondi; l’altro ne è un approssimativo riflesso, come ogni opera umana.

Gli àuguri già da tempo erano certi che l’armonico disegno del tappeto fosse di fattura divina; in questo senso fu interpretato l’oracolo, senza dar luogo a controversie. Ma nello stesso modo tu puoi trarne la conclusione opposta: che la vera mappa dell’universo sia la città d’Eudossia cosí com’è, una macchia che dilaga senza forma, con vie tutte a zigzag, case che franano una sull’altra nel polverone, incendi, urla nel buio.

 

Le città invisibili

di Italo Calvino

Einaudi, Torino 1972

(#313/dropped)

 

The other night Kevin flicked on the bedroom light after I already had snuggled into bed. He turned it off right away, so I assumed he just wasn't aware I had already gone to bed. It turns out he had a different motive. Kevin was just checking to be sure Cumin was in bed with me. Why? There was a tabby outside the basement window, one he had never seen before. He thought it was larger than Cumin but just wanted to be sure. . . we know that some critter has been using the insulated cat shelter I made from storage containers, but we have never seen who has been using it. I guess I always assumed it was Eddie. Now we wonder. . . is there a feral cat I have never seen sleeping under our back deck? I will have to keep my eyes open. . .

 

[SOOC, f/1.4, ISO 200, shutter speed 1/100, +2 EV]

Huile sur panneau

16 x 12 cm

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