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Punto di partenza, il sito storico dei Frigoriferi Milanesi.

1899, un pesante edificio utilitaristico in pietra e mattoni spunta da terra, in forma di parallelepipedo, al limite geografico della città di Milano di quel tempo. Impostazione solida, muri spessi, aperture a forma di feritoia, con un’altezza di quattro piani e una sobrietà di buon gusto, i Magazzini Refrigeranti e Ghiaccio Gondrand Mangili di via Piranesi non hanno semplicemente un aspetto fiero. Con una allusione diretta, esprimono l’audacia economica di Milano, città di banche, dell’artigianato tessile di qualità e dell’armeria nel momento in cui la Rivoluzione Industriale italiana si agita lungo il Po, in Liguria, a Torino e Bologna. Questo pionieristico deposito refrigerato all’epoca è uno dei più grandi in Europa, simbolo dello spirito imprenditoriale lombardo.

1923, la seconda tappa. Alla struttura utilizzata come deposito viene aggiunto, affiancando la sua parte est, il Palazzo del Ghiaccio. Questo elegante edificio di forma circolare diventerà la pista di pattinaggio di Milano. Verrà visto un altro simbolo nella sua edificazione, all’epoca del Dopolavoro realizzato dallo Stato fascista: quello del tempo libero. Concepita dagli ingegneri Sandro Carnelli, Carlo Banfi e Ettore Redaelli, questa costruzione in forma ovale dalle fondamenta in cemento armato, riprende l’archetipo del circo classico dotato di pista centrale delimitata da tribune circostanti. La sua copertura in legno leggero appoggiata su sottili putrelle metalliche si ispira all’architettura dei capannoni e dei locali tecnici tipici agli albori della Rivoluzione Industriale, segno di una tensione palpabile tra ingegneri e architetti. La pista di pattinaggio del Palazzo del Ghiaccio, a lungo una delle più importanti d’Italia e d’Europa, fin dalla sua apertura funziona come polo attrattivo, al punto da rendere ai milanesi familiare via Piranesi, allora decentrata. Le folle si accalcano. Qui trovano una pista di pattinaggio larga e ben presto vi ammireranno le prodezze del pattinatore Alberto Bonacossa, prima di quelle dei Diavoli Rossoneri, una delle migliori squadre del campionato nazionale di hockey su ghiaccio.

La decisione di aggiungere al deposito refrigerato già esistente il Palazzo del Ghiaccio fu, all’epoca, un’operazione visionaria. Si fabbrica del freddo? Perché allora non approfittare di questa attività, che permette lo stoccaggio di prodotti alimentari, con un altro scopo, anche diverso dalla originaria vocazione dell’attività? Il sorprendente ibrido architettonico del tandem monumentale Frigoriferi Milanesi – Palazzo del Ghiaccio è il risultato di una concezione assolutamente rivoluzionaria per l’epoca, quella della costruzione di uno spazio polifunzionale – una formula, va ricordato, in quel periodo duramente contestata. Il modernismo in voga negli anni 1920-1950 ama soprattutto gli edifici dedicati, indirizzati a un’unica funzione: l’alloggio, l’attività artigianale, industriale o commerciale, l’amministrazione, lo studio, senza miscugli di competenze né confusioni topografiche. Questo fervore per il monotipo proviene da una militanza favorevole allo “zoning”, che viene valorizzato all’epoca dai Congressi Internazionali d’Architettura Moderna (C.I.A.M.). Credo della razionalizzazione spaziale: a ogni attività deve corrispondere una costruzione specifica, insediata in una zona contrassegnata. In virtù di questo dogma, le zone residenziali, quelle destinate al lavoro, al consumo, alla conservazione e allo scambio, separate e distinte le une dalle altre, non si sovrappongono mai. L’intercontestualità, di fatto, è bandita – questa intercontestualità di cui il complesso Frigoriferi Milanesi – Palazzo del Ghiaccio appare al contrario una esempio eloquente, se non un manifesto.

 

Una storia evolutiva

Frigoriferi Milanesi, Palazzo del Ghiaccio – una stessa area, due architetture mantenute comunque scollegate nel corso di decenni.

Le due costruzioni, tra il 1923 e il 1999, data nella quale se ne è decisa la ristrutturazione, coesistono senza comunicare. Le funzioni del primo, i Frigoriferi Milanesi, si piegano alle necessità d’adattamento che esige l’evoluzione economica: da principio la conservazione alimentare, poi il deposito di pellicce destinate all’industria dell’abbigliamento, per arrivare infine all’inserimento di attività di servizio destinate alla conservazione o alla ristrutturazione di beni privati o di natura artistica. Quanto al secondo edificio, il Palazzo del Ghiaccio, conserva in maniera continuativa una destinazione ludica, che continua malgrado il graduale abbandono dell’attività di pattinaggio, ben presto sostituito, e con una certa frequenza, da manifestazioni sportive, proiezioni cinematografiche, concerti e sfilate di moda. La divisione strutturale di questo spazio costruito in due blocchi distinti, oltre alla doppia funzione storica, sembrano voler condannare i Frigoriferi a una separazione definitiva. Sdoppiamento anche visivo: i Frigoriferi Milanesi e il Palazzo del Ghiaccio non si somigliano affatto. Sdoppiamento funzionale: una tendenza dissociativa, le loro differenti attività agiscono a priori a favore di una differenziazione.

L’attuale spazio chiamato Frigoriferi Milanesi – il Palazzo dei Frigoriferi e il Palazzo del Ghiaccio – è gestito dalla società Open Care, del Gruppo Cabassi, conosciuto a Milano per le importanti operazioni immobiliari e di sviluppo. Un’attività che propone diversi servizi riguardanti “la riconversione, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio artistico”. Open Care amministra entrambe le strutture e le loro mansioni. Alla fine degli anni Novanta, mentre la società si realizza, i responsabili propongono a 5+1AA un rimaneggiamento dell’intero sito, Frigoriferi Milanesi più Palazzo del Ghiaccio. Una vera sfida, tanto le modifiche registrate dall’inizio del XX secolo (riguardanti in particolare l’edificio dei Frigoriferi) complicano il progetto e l’organizzazione degli spazi. Tra gli anni 1900 e 1970, le attività svolte in questi spazi hanno iniziato a diversificarsi: la produzione di ghiaccio prima, poi la conservazione allargata: alimentare all’inizio (dopo la Seconda Guerra Mondiale qui si trova il più importante deposito di uova di tutta la penisola), stoccaggio e manutenzione di pellicce per il settore tessile in un secondo tempo. Queste peculiarità hanno comportato delle modifiche sostanziali nella disposizione interna, che rendono improbabile una sintesi compiuta.

Il padre, Giuseppe Cabassi, acquisì i Frigoriferi negli anni Settanta. La sua fobia per lo spazio vuoto è leggendaria: il vuoto, secondo questo imprenditore radicale, non esiste che per essere riempito, utilizzato, fatto fruttare. Non appena divenuto proprietario degli spazi, Cabassi padre aggiunse, alla struttura esistente, il suo tocco personale. Nello spazio sotterraneo delle fondamenta dei Frigoriferi e del Palazzo del Ghiaccio, fa installare delle casseforti, e crea un’area per depositi in sicurezza a disposizione di banche e privati. Raccogliendo il testimone dal padre dopo la sua prematura scomparsa, i fratelli Cabassi intendono anch’essi accrescere la funzionalità del sito. Pur continuando a occuparsi delle precedenti attività, ne aggiungono tuttavia numerose nuove. Una parte dello spazio è trasformato in magazzino per opere d’arte e mobili di valore. Sotto la loro guida, le diverse prestazioni di servizi altamente specializzati – organizzazione di trasporti d’opere d’arte ma anche restauro di mobili, tappeti e dipinti – ampliano presto la loro attività di mero deposito. L’abbandono graduale della filiera del freddo ha implicato, alla fine, il cambiamento del Palazzo del Ghiaccio, che è diventato sede per esposizioni e spazio dedicato a eventi e manifestazioni musicali o festival, funzioni che implicano a loro volta una gestione specifica e rinnovata.

 

Nella Milano di ieri, di oggi, di domani

Quando formulano il progetto di una ristrutturazione totale dei due edifici, Frigoriferi Milanesi e Palazzo del Ghiaccio, il desiderio dei Cabassi, committenti dell’operazione, è assolutamente chiaro, economicamente e simbolicamente parlando. Avere più spazio, come prima cosa, e se possibile con costi inferiori. Rendere luminose e trasparenti e modernizzare tutte le zone di lavoro. Soprattutto mettere in ordine, unificare e rendere coerenti tra loro le molteplici attività esercitate qui, raggruppandole nonostante la loro natura eterogenea. Quello che ci si aspetta dalla ristrutturazione architettonica, in questo senso, è decisivo. L’edificio rifondato – e, insieme, la sua architettura – deve esprimere in maniera leggibile l’identità e le attività della nuova impresa.

Appena messi a confronto con la richiesta di Open Care, Alfonso Femia e Gianluca Peluffo hanno un’intuizione: la ristrutturazione dei Frigoriferi è qualcosa di più che una semplice rimessa a nuovo. È una sfida contestuale, l’occasione insperata di produrre un “effetto quartiere” per mezzo di un edificio rinnovato. 5+1AA, studio fondato nel 1995 (e che quindi non è alle prese con la sua prima ristrutturazione), agisce l’architettura come “un dispositivo che serva a rivelare lo spazio e i suoi significati”, secondo le parole di Femia e Peluffo. Qualunque posto, ogni località, ogni palazzo ha un vissuto, si inscrive nella storia, nella cronaca del tempo. Niente esiste di per sé e fuori dal tempo, tutto si lega, l’autonomia è una favola. L’“esistente”, per pensare a questa storia, si rivela determinante. Ma cosa si intende qui con “esistente”? La costruzione da recuperare e i suoi dintorni, vicini e lontani. Ma anche le realtà, a volte problematiche, che rivelano l’appartenenza di un edificio al suo contesto. Dov’è situato l’immobile su cui l’architetto andrà a intervenire? In quale quartiere della città? A che epoca appartiene, come si è evoluto? Che cosa ci insegna della città stessa, dei suoi sviluppi, delle sue tensioni, delle sue fatiche? L’importanza decisiva del contesto. Ogni fabbricato è materia di un doppio segnale – oggetto funzionale e indizio d’altro.

Presa senza esitazioni, la prima decisione dei 5+1AA è di conservare la doppia costruzione dei Frigoriferi. Non si parla di distruggere: i Frigoriferi Milanesi e il Palazzo del Ghiaccio sono stati concepiti e costruiti in maniera eccellente. Al massimo si tratta di riadattarli alle attività diversificate, ad alcune particolarmente sofisticate e a quelle di natura terziaria, installate recentemente tra questi muri. Facendo attenzione, tuttavia, a come tutta l’operazione di recupero debba avere un’anima particolare, in accordo con lo spirito originale dell’edificio di cui ci si occupa.

Per breve che sia (un secolo), la storia del complesso formato dai Frigoriferi Milanesi e del Palazzo del Ghiaccio non è meno ricca e violenta a un tempo. Una storia ricca: il luogo esprime il fervore milanese a cavallo del XX secolo, quando si sviluppa la seconda Rivoluzione Industriale, quella dell’elettricità, e la capitale lombarda parte alla conquista del suo hinterland agricolo, presto divorato in favore delle stimolanti attività industriali – tessili ma anche chimiche, come di costruzione meccanica e automobilistica (Alfa-Romeo). Una storia violenta: il quartiere di via Piranesi, appena un secolo dopo questo decollo glorioso, si è declassato. Un tempo animato, ora sembra addormentato, avvolto in un’atmosfera di inerzia, rinunciataria. La disindustrializzazione iniziata alla fine degli anni Settanta, qualche strada più in là, graffia senza riguardo il paesaggio, inscrivendo una disperazione lancinante: è cupo, debole, sfatto. Il terreno industriale abbandonato, terra di nessuno percorsa da binari incustoditi ricoperti d’erbaccia, depositi residuali di cui si percepisce la prossima demolizione parlano della fine di un mondo e di un’epoca, oltre che della necessaria riconversione di questa periferia dell’est milanese. Luoghi spettrali. A confronto l’area della Fiera di Milano e quella di Assago, in pieno sviluppo, sono la prova di tutt’altro magnetismo economico e di una vitalità differente. Quanto al brillante futuro prossimo di Milano, che vede arrivare l’Esposizione Universale nel 2015, dà di che rammaricarsi per quanto poco venga presa in considerazione via Piranesi. L’evento di portata mondiale che la città degli Sforza si prepara a accogliere farà brillare le sue luci a Rozzano, lontano dalla zona dei vecchi Frigoriferi – una periferia di Milano, questa, prescelta e non rifiutata.

Per i 5+1AA, restaurare i Frigoriferi Milanesi e il Palazzo del Ghiaccio è questione di rianimazione e di polarizzazione. Rianimazione? Rinnovato per se stesso, il complesso dovrà essere recuperato anche con la funzione di animare la zona circostante. Polarizzazione? Posto su una delle soglie della città, lo spazio dei Frigoriferi deve tornare a essere in questo punto un segnale di raccordo visivo, percettibile e simbolico – in particolare quando si arriva da Linate, l’aeroporto più vicino a Milano, e quando si entra costeggiando il centro da via Corsica, vasta strada d’accesso al cuore assoluto della città. Se si pensa in maniera astratta alle nuove periferie di cui si è appena parlato (Milano Fiera, Assago, Rozzano, arricchite da architetture di tendenza siglate da nomi prestigiosi), la parte storica della città di Milano ha solo pochi edifici “firmati”: la cattedrale, il Pirellone, la Torre Velasca – eredità, rispettivamente, dell’età classica, dello stile internazionale, dello slancio neomodernista. L’ambizione dei nuovi Frigoriferi nella versione dei 5+1AA è di essere alla periferia della città un segno complementare. Capiamoci: un segno saggiamente posizionato in cesura con il passato, che incarna l’ipercentro e la nuova economia del futuro, che simboleggi in modo chiaro e forte l’attuale sviluppo energico di tutte le periferie di Milano.

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