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Pride in London 2015. Baker Street.
Back again. I photographed this chap last year at Pride 2014.
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This a real photo postcard that I found in Taos, New Mexico one day and snapped up. It is of what I believe to be a Texas motorcycle patrolman from the 1930's. He wears a large cap badge with the outline of the state of Texas within a circle which is surmounted by an eagle with its wings outstretched. He wears a badge with the Lone Star of Texas in the center, but I cannot read the lettering surrounding it. I doubt that he would put up with some of the things that go on today.
i was actually trying to take a picture of the journalist with the amusing TV helmet, but on a second look i noticed the cop behind with the video camera. i couldn't figure out why they'd be videoing the protestors. the official line is that they want to make sure everything was documented so they could check to see what really happened for people filing police brutality complaints. but i highly doubted that that was the real reason.
then today i read in the globe that the cops are going to run facial recogition software on the digital images of thousands of people at the protest (http://www.theglobeandmail.com/news/national/toronto/toronto-police-unveil-g20-most-wanted/article1639899/) great, so now we're all gonna be on a shitlist somewhere and who knows what that's gonna be used for.
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Consiglio di gustare
la visione della ... photo On black and large
e l'ascolto da .... Le donne di Juarez
25-11-2012 GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE
Ciudad Juárez, donne schiave dei narcos
Piantata all’uscita del Ponte internazionale El Paso Norte, l’imponente croce rosa è il cartello di benvenuto con cui Ciudad Juárez accoglie i nuovi arrivati. Al posto della scritta “Bienvenidos” – che troneggia dall’altro lato del cavalcavia e del Rio Bravo, da cui la separano cento metri e un passaporto statunitense –, c’è la frase: “Ni una más” (Non una di più). Le parole «donna ammazzata o scomparsa» restano sottintese ma facilmente intuibili. A esplicitarle bastano le centinaia di chiodi, con altrettanti nomi, che trafiggono la superficie del monumento.
È stata la poetessa Susana Chávez a coniare lo slogan negli anni Novanta, quando la strage di ragazze – a volte bambine – catapultò Juárez sulla ribalta internazionale. Tra il 1993 e il 2005 – secondo i dati della principale esperta, Julia Monárrez Fragoso del Colegio de la Frontera Norte – furono massacrate 447 giovani. Preda di narcotrafficanti sadici e potenti, denunciarono attivisti per i diritti umani, esperti, legali. Così potenti – accusarono – da godere della protezione di politici e forze dell’ordine. E da restare finora impuniti.
Negli anni successivi, i delitti al femminile si sono diluiti nel bagno di sangue in cui la narco-guerra ha trasformato la città.
Dal 2008, l’offensiva contro la delinquenza lanciata dal presidente Felipe Calderón ha indebolito il gruppo criminale dei Carrillo Fuentes, a lungo “padrone” di Juárez.
La banda di Sinaloa ha approfittato del vuoto per cercare di conquistare il controllo dell’enclave, corridoio strategico per esportare cocaina negli Usa. Nei continui scontri tra narcos rivali, militari e poliziotti federali schierati dal governo hanno perso la vita oltre 10mila persone. Uomini in maggioranza, ma anche donne.
I femminicidi – assicura Gustavo De La Rosa, investigatore della Commissione diritti umani del Chihuahua – continuano. «Anzi, si fanno di anno in anno più frequenti. Insieme alle scomparse», aggiunge mentre si siede nella hall del lussuoso Hotel Lucerna di Juárez, in cui è di casa. «È uno dei pochi posti sicuri. Cerco di stare attento, anche se ci sono loro...», afferma mentre indica le due auto di scorta parcheggiate fuori. Due anni fa, De La Rosa è stato minacciato e ha subito un attentato. «È rischioso difendere i diritti umani in piena guerra», ironizza mentre si accarezza la folta barba bianca da “Babbo Natale latino”.
In cinque anni sono state assassinate 688 donne: da 23 nel 2006 si è passati a oltre 300 nel 2010. Nel 2011 sono 193. Troppe o troppo poche, si potrebbe dire da punto di vista strettamente statistico. «Se li rapportiamo al totale, i femminicidi sono un decimo – continua De La Rosa –. Apparentemente pochi, dunque. In realtà, si tratta di una quota preoccupante. Perché è in costante aumento». Per il governo, questo dipenderebbe dalla “femminilizzazione del narcotraffico”, ovvero dall’entrata massiccia di donne nei gruppi criminali e dalla loro “eliminazione” da parte di gang rivali.
De La Rosa è di tutt’altro parere: «Altro che “regine dei narcos”. La maggior parte delle vittime non aveva niente a che fare con la delinquenza».
Perché a Juárez, allora, le donne vengono ammazzate o svaniscono nel nulla? «Per l’impunità di cui godono i carnefici. Dal 2008, meno del 2 per cento dei delitti è stato risolto. Naturale dato che 30 persone – tra investigatori e pubblici ministeri – devono occuparsi di 200 omicidi al mese. Gli assassini sanno che difficilmente pagheranno per le loro atrocità». «Le donne sono da sempre il bersaglio di violenze, dalla famiglia al resto della società», aggiunge Irma Casas Franco della Ong Casa Amiga. De La Rosa conclude con un sospiro: «Il sonno della giustizia genera mostri».
I mostri: difficile riconoscerli in mezzo ai pochi passanti che si avventurano per Avenida Villa. Camminano in fretta senza guardare le infinite schiere di case diroccate, serrande abbassate e insegne “Vendesi”: vanno dritti verso la meta. Non si passeggia a Ciudad Juárez, specie in centro. Questo quadrato tra il ponte, il mercato e la cattedrale è il buco nero che ha ingoiato migliaia di donne. Alcune le ha risputate cadavere. Altre sono semplicemente svanite. Di loro restano i volti in bianco e nero catturati dalle foto fotocopiate e appese ai pali della luce, le pensiline dei bus dissestati, i segnali stradali. Sotto, il nome e l’implorazione: “Aiutateci a trovarla”.
«Né io né le mie amiche passiamo mai per il centro da sole – racconta Clara (il nome è di fantasia), 18 anni –: è troppo pericoloso». Impossibile conoscere la quota esatta delle desaparecidas. I casi ufficiali, da gennaio al 30 giugno 2011, sono 45, circa 7 al mese. Il dato reale è almeno il doppio, affermano fonti giudiziarie. «Spesso le scomparse non vengono segnalate per paura, ignoranza, difficoltà burocratiche», racconta Rocío Gallegos, giornalista del Diario di Juárez. Specie, poi, quando a sparire sono migranti venute dal Sud del Paese per lavorare nelle “maquiladoras”, le grandi fabbriche di assemblaggio americane, motore economico della frontiera. Senza famiglia, amici, conoscenze stabili, le straniere si “dileguano” in silenzio. La maggior parte, però, non va lontano. Appena dietro il centro, c’è la zona “blindata”. «Non entra nessuno: né giornalisti, né poliziotti. L’ultima volta che dei colleghi ci sono andati, abbiamo dovuto chiamare i militari per salvarli», dice Rocío. È il regno dei narcos. Lì tengono ammassate – garantiscono fonti locali che chiedono l’anonimato – migliaia di giovani-schiave, costrette a prostituirsi, a vendere droga, a volta anche a uccidere per il cartello.
Tutti lo sanno a Juárez, nessuno lo dice pubblicamente. L’ultima che l’ha fatto, Malù García Andrade ha dovuto lasciare la città in seguito alle minacce. Di recente, cinque pallottole hanno ridotto in fin di vita sua madre, Norma Andrade. Prima di Malù, anche Susana Chávez aveva denunciato la tratta di donne. L’11 gennaio del 2011 il cadavere massacrato della poetessa è stato ritrovato in una discarica. Piantato sull’imponente croce rosa il suo grido, “Ni una más”, però, sopravvive. A dispetto dei narcos.
Lucia Capuzzi
da www.avvenire.it/Mondo/Pagine/messico-donne-nel-mirino.aspx
25/11/2012 H. 14.25
US Park Police mounted SGT patrolling the National Mall near the Lincoln Memorial on an overcast afternoon in late summer.
Washington, DC / September 17, 2012
I watched this old cop watching the parade and wondered what he thought of it all. He is scopin out dudes behind here though. The cop at the top of the pic has his hands on his hips...
BELO HORIZONTE/ MINAS GERAIS / BRASIL (12.11.2014) Atlético x Cruzeiro - no estádio Independência - Final da Copa do Brasil 2014 - foto: Bruno Cantini
One of five views showing former doorways (from different angles) inside COP car No. 013140 which was originally built as a 1st / 3rd composite with internal doors splitting it into three sections.
Two sections were for 1st class passengers (smoking and non-smoking) and one for 3rd class passengers (either smoking or non-smoking, I am not sure).
First class was abolished on the Hammersmith & City route in 1936 but the last 19 O stock trailers were built as composites because they were destined to be used with P stock driving motors on the main section of the Metropolitan line.
First class was abolished on the District & Metropolitan lines during WW2 but apart from the removal of the internal doors the trailer cars retained their other partitions.