View allAll Photos Tagged Matric

Cette femme médite. Elle capte la matrice .

PANORAMA DALLA PIEVE DI SAN PIETRO.

  

La Pieve Matrice di San Pietro a Zuglio, in Carnia, è una chiesa antichissima la cui storia è segnata dalle vicissitudini del luogo. L'antica Iulium Carnicum fu la città romana più settentrionale d'Italia e, situata strategicamente in prossimità della grande arteria stradale che da Aquileia portava ad Aguntum (centro del Norico meridionale), fu raggiunta ben presto dalle correnti evangelizzatrici partite da Aquileia.

La chiesa gotica attualmente esistente, fu voluta nel 1312 dal Patriarca di Aquileia, che la fece costruire con un'unica navata e tre altari.

  

Questa immagine è stata realizzata con lo smartphone SAMSUNG NOTE 4

Into the Second Life

In un passato ormai lontano la chiesa principale di un paese in Sicilia veniva chiamata la Chiesa "Matrice". Questa via della vecchia Scicli (RG) porta alla antica chiesa di S. Matteo, una volta appunto la chiesa "Matrice" della cittadina. La Chiesa di S. Matteo, pur essendo un antico e pregevole monumento, fu poi abbandonata agli inizi del 900 e lasciata andare in rovina. Attualmente però è in corso un progetto di recupero e restauro con fondi dell'Unione Europea.

Atelier du potier Ecomusée Ungersheim

Quaranta quartine

 

Ancora: nero senza fine, nero

come nera matrice di ogni nero,

ma tutta luce, ancora, senza nero

materia della mente e spasmo nero.

 

La sento la mia vita, me la imparo,

fino al fegato adesso, fino al fiele;

oh nera un tempo enorme senza chiaro,

fedele della notte più infedele.

 

E’ lungo questo tempo senza fine

il mio cuore senza fine nel tempo.

E’ nero lungo un tempo senza fine

per non morire prima del suo tempo.

 

Vuota il tuo sacco, su, parla, poetessa:

io fiorisco e disfoglio e rigermoglio

per dare la procura di me stessa

a chi non può o non vuole quel che voglio.

 

Dicevo: Amore mio, vorrei annegare

nell’acqua chiara dei tuoi occhi chiari,

finire finalmente di aspettare

giovani giorni, cari giorni chiari.

 

Per me dentro di me oltre la mente

il suo corpo su me come una coltre

ma oltre il corpo in me furiosamente

in me fuori di me oltre per oltre…

 

Sta’ zitto, cuore. Taci, anima nera.

Ora so quel che c’era da sapere.

Principio di purpurea primavera?

Quattro colpi di cazzo e ho da godere?

 

Biancore di ossa… bianco dissolvente

grida nel nero… Grido che lo sento:

ma come una struttura della mente,

come la costrizione al godimento.

 

Poi una lancia di luce sulla faccia…

Chiudi gli occhi, non quelli azzurri!, gli altri,

se l’anello d’acciaio delle braccia

scaglia altro nero dentro gli occhi scaltri.

 

Superba mendicante dell’amore,

scongiuravo: Fa’ ammenda alla mia fame,

dammelo ogni mio oggi il pane amore,

liberami dai mali, amore. Amen.

 

Dove sei, gli chiedevo, col mio cuore?

Ho freddo e ho per amante la mia mano

E faccio sogni e sogni di terrore

e non ho tregua qui e invanisco in vano.

 

Cosa fai, gli chiedevo, col mio cuore?

Quanto disti da me, in linea retta?

Quanti chilometri di batticuore?

Quando mi dai l’amore che mi spetta?

 

Una boccata di buio? No. Meno.

Nemmeno. Abbocca, carne di carnaio!

Lecca le labbra, vieni, vieni almeno…

Io più in alto di te cado, scompaio…

 

Così: una e molteplice, infinita

negli insiemi infiniti della mente,

e cripta di reliquie in morte e in vita,

io solo questo so: che non so niente.

 

Ma l’estasi, ma l’io senza più io?

Da cinquant’anni ormai io chiedo ai cieli

un cuore perpendicolare al mio

e mi arrivano tutti paralleli.

 

Oh, l’inutilità di questi affanni

la conosco a memoria, inutilmente;

e nel peso degli utili e dei danni

connetto notte a notte e niente a niente.

 

Al terribile triste unico mondo

far fronte, sempre, fargli sempre guerra!

Seppelliti nel nero fino in fondo

noi nero delle ossa sottoterra…

 

E anche con lui era come masturbarmi,

mai matura, scentrata e senza centro.

Di grazia, gli chiedevo, vuoi insegnarmi

a venire assieme a te con te dentro?

 

Dài, maledetto! Amore, dài, sii buono,

rimetti insieme tutte le mie tessere

per farmi essere quella che sono

e che ancora non ho potuto essere.

 

E così, per la vita dei miei versi,

dagli occhi, dalla gola, dalle ascelle

io riverso su te, tu mi riversi

le nostre solitudini gemelle.

 

Dicevo: A conto loro, e di noi stessi,

che faremo della vita anteriore

noi insolvibilità con gli interessi

e sempre in credito verso l’amore?

 

Ci dava la prigione del destino

solo qualche ora d’aria per l’amore

che per destino ha solo il suo declino.

Si aspetta e si riaspetta e poi si muore.

 

Egoista dai teneri pensieri,

gli chiedevo: Stai bene di salute?

Le fai l’amore, assolvi i tuoi doveri?

Lo metto in conto delle trattenute.

 

Perché eravamo onesti, responsabili,

non volevamo dare sofferenza.

Pure fra noi e due stronzi, due contabili,

tu vedi forse qualche differenza?

 

Se amo, sono grande nel mio amore.

Ma lui lo era? Se amava era grande?

Oh scroscianti radiose e nere ore,

state eludendo tutte le domande!

 

E gli dicevo: Sì, sentire è tutto.

E tutto in me che sente sente te.

Ti sento in me, ti sento fin nel flutto

del tempo-sangue freddo in tutta me.

 

Guarda guarda, Patrizia la superba

ammette che la mente non è tutto.

Come erba, più umile dell’erba,

mi prema lui, mi falci lui-mio-tutto.

 

Osceno e sacro l’amore delibera

stessa sede per sé e per gli escrementi.

Se non mi leghi io non sarò mai libera,

né casta mai se tu non mi violenti.

 

E tu? Sì, grazie. Senti come piove!

Vuoi che ci amiamo in piedi come i cani?

Di qua. Proviamo. A destra. A destra, dove?

Ho freddo, ho fame. E tu? Grazie. A domani.

 

Ho fantasie auditive, non visive.

Avesse detto mai: Bambina mia,

adesso vedi… E dato direttive:

Apriti stronza, troia… e così via!

 

Oppure: Questa torta va finita,

ma devi bere… piena la vescica.

Oh, essere imboccata con le dita,

con altre due ficcate nella fica!

 

Vuoi che ti dica, dunque, tutto il vero?

Il nero se ne fotte che non viva,

che sia perimetro del mio pensiero.

Dimmi: sono una bambina cattiva?

 

Avrei finto di non avere voglia,

perché a forza mi facesse volere.

Io voglio che tu voglia che io non voglia:

questa è la verità del mio piacere.

 

Violentami, costringimi a godere,

fendendomi con tutta la tua forza,

e fa’ di me secondo il tuo volere,

sii il mio flagello, dammi fuoco e forza.

 

E sempre quella mano sulla fronte…

E l’altra lì, così, due dita sole…

E quando fica e testa sono pronte

Riempile di cazzo e di parole.

 

Poi chiudere anche gli occhi della mente,

mare del nero e faro del mio mare,

e infine via dal nero finalmente

che si dilata e mi lascia passare.

 

Oh baciami, biancore di tramonto,

fratello senza pace nella fine,

baciami gli occhi chiusi, chiudi il conto

per l’alba della morte senza fine.

 

Io mi arrendo, congedo i miei soldati,

la mia legione di sogni e di versi.

Combattete per altri disarmati,

vincete in verità, miei sogni in versi.

 

No, non ancora. Ancora pochi istanti:

per approssimazioni millimetriche

sempre spietatamente equidistanti

le mani buie, le braccia scheletriche…

 

Eccomi, ancora. Prendimi per mano:

occorre che mi fermi e mi conforti

perché non posso andare più lontano

perché dopo ci sono solo i morti.

 

Patrizia Valduga

 

DO NOT use my pictures without my written permission, these images are under copyright. Contact me if you want to buy or use them. CarloAlessio77© All rights reserved

Des interférences donnent naissance à un nouvel univers dans le monde numérique de la Matrice.

 

Essai d'illustration abstraite sous Photoshop.

matrices rojos que vivió por 10 minutos en el cielo y una eternidad en un disparo. #atardecer #cielo #rojo Curanilahue #chile #lateafternoon

Navata centrale della chiesa Matrice

Ii mio primo video commentato da Totò RIZZUTI:

(www.salvatorerizzuti.com/)

 

Praticamente ti trovi in Piazzale Ruggero Lauria per tutti i caltabellottesi: “chianu di la matrici “ da sempre.

In questo ampio spazio si svolge, da sempre, “lu ‘ncontru “ cioè l’incontro, tra la madonna e il crocifisso per la “festa di la madonna”, che un tempo si svolgeva a fine maggio e che da una ventina d’anni si svolge a fine luglio per permettere la partecipazione degli emigranti che tornano per le vacanze;

video.sky.it/news/cronaca/caltabellotta-il-rito-per-la-ma... (Caltabellotta, il rito per la Madonna dei miracoli - 31 luglio 2019)

  

e a Pasqua, tra la madonna, il cristo risorto e L’arcangelo Michele, che fanno ballare come un invasato per la gioia che cristo è risorto e per essere lui il mediatore dell’incontro. Dopo detto incontro avviene la processione lungo tutto il paese, che si svolge dalla sera fino a quasi l’indomani mattina, con la classica conclusione dei fuochi d’artificio.

www.youtube.com/watch?v=5IpuAtCogyA&list=PL9DD76BEE97... ('Ncontru di Pasqua - 5 Aprile 2010)

 

Quella pietra particolare dell’inizio del video non ha un nome preciso ma è diventata il simbolo del paese per la sua particolare bellezza, anche del paesaggio in cui si staglia.

  

La grande valle nello sfondo comprende diverse contrade, ma noi la intendiamo coma “lavanchi” o “mancusi”, dove per lavanchi si intende valanghe, per i terreni molto scoscesi anche se fertili, e per mancusi si intende che tutta la vallata è esposta a nord, non “‘nfacci suli”, cioè non esposta a sud.

Il costolone roccioso che si eleva in alto a destra della cattedrale (a sinistra per chi guarda), lo intendiamo come “lu casteddu vecchiu”, cioè il castello vecchio, poiché vi si trovano resti di mura antichissime.

 

A sinistra della cattedrale (per noi matrici) si trovavano resti di basi di casa scavate nella roccia, che alcuni fanno risalire al medioevo, altri a periodi più antichi, per i quali potrebbe essere il sito della mitica kamico, la città del re Kokalos, dove si sarebbe rifugiato Dedalo dopo essere fuggito da Creta.

 

Infine, al termine del vero, inquadri il caratteristico “pizzu”, che i caltabellottesi intendiamo più come “lu casteddu”, infatti si può ammirare ancora la torre diroccata con il bel portale d’ingresso.

Non so se tu l’hai già fatto, ma si può salire anche in cima al pizzo, da dove si può ammirare un paesaggio mozza fiato a 360 gradi, dal quale, con giornate particolarmente terse, si vede persino l’Etna.

 

La chiesetta in basso rispetto al pizzo è la chiesa (sconsacrata) del Salvatore, col bellissimo portale del ‘400, che avrai sicuramente ammirato e fotografato.

 

Ma voglio concludere con una piccola chicca che ti incuriosirà sicuramente: nel punto preciso da cui hai fatto la ripresa si affacciavano, fino a una settantina di anni fa, le vecchie madri, le mogli, le sorelle e le congiunte varie, di persone scomparse (in guerra o per altre deducibili cause), che tardavano a ritornare o non tornavano più per sempre. Queste donne, ammantate nei loro vestiti a lutto, gridavano rivolte verso la valle, chiamando il loro congiunto e chiedendogli se e quando tornava. A volte tornavano a casa rincuorate per aver sentito una voce lontana che le prometteva il ritorno. Voci che, ovviamente, provenivano da qualche contadino, che dalla grande vallata sottostante le illudeva di qualche speranza. Un gioco che le stesse richiedenti accettavano, quando erano più smaliziate; ma la maggior parte si illudevano davvero che a rispondere fosse la voce dello scomparso. Tutto questo veniva inteso come “li segni di Santa Marta”.

Un rituale, comunque, di grande suggestione e di grande drammaticità, suggestionava anche i più scettici, come me.

Dico questo perché ho provato davvero una grande emozione quando, per la prima volta, una trentina di anni fa, mi è capitato di vedere uno straordinario documentario sul tema, fatto dal grande Sergio Zavoli, credo verso la fine degli anni cinquanta.

Se cerchi su “Rai Storia” può darsi che lo trovi, più volte mi è capitato di vederlo su quel canale, e ogni volta è stata una grande emozione. "

 

Avevo già visto il servizio di Zavoli e lo trovai davvero emozionante.

Oggi purtroppo il servizio non è più in rete ma ho trovato questo video:

"Cantu pi tìa, uno dei brani di Disìu, testo e musica di Ezio Noto. Il dialetto siciliano, caltabellottese incontra le musiche del mondo. Le immagini scelte sono dell'archivio Rai, e sono state realizzate a Caltabellotta nei primi anni sessanta, un servizio di Sergio Zavoli "Li Signi di Santa Marta". Le donne che gridano, invocano, interrogano dalla rupe Gogala di Caltabellotta e chiedono notizie che loro interpretano, traducono attraverso segni, rumori. Vogliono sapere dei loro cari, emigrati, partiti per cercare pane, lavoro o per la guerra e mai più tornati. Cantano per loro."

 

www.youtube.com/watch?v=H_9aKUHnJMg&fbclid=IwAR2gW19z...

 

Il complesso fu edificato nel 1910 fra corso Racconigi e le vie Chianocco, Revello e Foresto su un’area fabbricabile ceduta gratuitamente dal Comune, come avvenne per diversi dei gruppi realizzati nel primo periodo di attività. La scarsa disponibilità di risorse finanziarie indusse l’Istituto ad adeguarsi alle elargizioni ottenute, rinunciando in parte a pianificare la localizzazione delle case, benché le autorità civiche concedessero per lo più terreni ricavati da operazioni di esproprio svolte lungo i vettori dello sviluppo urbanistico, tanto che si trattò in genere di lotti stralciati dallo smantellamento di antiche cascine. Sorto nei pressi dell’allora barriera del Foro Boario, il quinto quartiere si collocò a ridosso del Borgo S. Paolo, uno dei nuclei suburbani maggiormente interessato da una significativa tendenza di crescita. In altri casi, l’ente si trovò invece a edificare in zone scarsamente integrate nella maglia viaria, determinando inizialmente condizioni di isolamento che ebbero conseguenze nefaste sulle locazioni. Assediato solo dalla concorrenza delle adiacenti case per i ferrovieri, questo insediamento non ne risentì, pur essendo uno dei più ampi con un insieme di quasi cinquecento alloggi suddivisi in sei corpi di fabbrica, a cui ne furono aggiunti altri trenta con i due stabili costruiti nel 1938. I caseggiati riprodussero l’impostazione adottata in quegli anni, con la prevalenza di mono e bilocali, mentre il prospetto esterno fu arricchito dalla variante di un fregio scandito da gruppi di sinuosi fenicotteri di raffinato gusto liberty. Nel 1978 gli edifici su corso Racconigi furono sopraelevati, rispettando comunque la matrice stilistica originaria. Fonte: wwwmuseotorino.it

La separazione di Bracchio dalla Chiesa matrice di Mergozzo avviene in riprese, perché sempre osteggiata dal parroco mergozzese. La prima richiesta è del 1635, una seconda è del 1655 ed infine risale al 1701 la più dettagliata e motivata: la strada che collega Bracchio e Mergozzo è impervia e scoscesa e, soprattutto in inverno a causa del ghiaccio, impraticabile per i bambini e le donne gravide. Nonostante queste evidenti difficoltà. Il parroco di Mergozzo non vuole rinunciare alle anime di Bracchio, che sono quindi costrette a sottoporre una petizione al Vescovo di Novara. Il 5 settembre 1714, all’Isabella (l’Isola Bella del Golfo Borromeo), il Conte Carlo Borromeo, il parroco di Mergozzo, i procuratori degli abitanti delle frazioni e gli uomini di Bracchio, sottoscrivono un accordo in 10 punti per la separazione e la creazione della nuova parrocchia. Il decreto definitivo è attuato il 1° agosto 1715. ma fino al XIX secolo i parroci mergozzesi continueranno a osteggiare questa indipendenza, fintanto che non saranno versate lire 700 al parroco, a fondo perduto e tornerà dunque la pace. La nuova Chiesa parrocchiale, dedicata ai santi Carlo e Marta, viene edificata nei primi anni del 1700, intatti si parla per la prima volta di essa nella visita pastorale di Giberto Borromeo nel 1703. Nel 1706 viene costruito il portico antistante, nel 1723 il campanile, nel 1742 la sacrestia e nel 1858 è l’edificio è ampliato con due navatelle. La consacrazione viene fatta da monsignor Gentile il 19 maggio 1851, concedendo al parroco il titolo di arciprete.

Il Ricetto di Candelo è una struttura fortificata sorta per iniziativa e volontà precisa della popolazione candelese allo scopo di conservare e difendere i beni più preziosi della comunità: gli edifici non sono stati abitati in pianta stabile ma è stato utilizzato come deposito per i prodotti agricoli in tempo di pace e come rifugio temporaneo per la popolazione in tempo di guerra o pericolo.

Il termine Ricetto deriva infatti dal latino “receptum” (ricovero, rifugio) e il ricetto di Candelo si è conservato proprio perché ha mantenuto nel tempo questa sua matrice rurale di custode della comunità contadina.

Nel 988 è la prima volta che compare il nome di Candelo in un documento ufficiale; Canderium viene confermata possesso feudale di Manfredo da Ottone III; l'anno seguente Ottone III infeuda Candelo alla Chiesa vercellese.

Verso la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo gli abitanti di Candelo costruiscono il Ricetto su un terreno di signori locali, per il quale all'inizio pagano un censo annuo e che poi riscattano; al 1360 si contano nel Borgo 157 casupole (oggi sono circa 200).

Dal 1374 al 1517 il paese passa sotto il controllo di varie famiglie tra cui i Savoia, i Fontana, ed infine i Ferrero - Fieschi, all'epoca conti di Masserano.

Tra il 1554 ed il 1632 Candelo è coinvolto in una serie di spiacevoli eventi tra cui le lotte tra Francesi e Spagnoli (causando al Ricetto gravi danni e venendo successivamente riparati) e la decimazione della popolazione a causa della peste; l'elevazione del feudo a contea rimane uno dei pochi lati positivi di questo periodo.

Dal 1644 al '49 nuove occupazioni spagnole provocano incendi e distruzioni.

1785: Carlo Sebastiano Ferrero Fieschi è l'ultimo feudatario di Candelo; con l'occupazione napoleonica si modifica la struttura politico-amministrativa del borgo.

1819: inizia la costruzione dell'attuale Palazzo comunale sulle antiche mura del Ricetto; sempre nello stesso anno viene realizzata piazza Castello.

Fonte: www.ricettodicandelo.it/storia

Matric farewell pics

Matric farewell photos

THE MATRICAL FLIGHT OF LUMINOUS SPHERES / THE FINAL / CHRISTELLE GEISER & AEON VON ZARK / NAKED EYE PROJECT BIENNE / ALTERED STATE SERIE / THE WEIRD DREAM / PORTRAIT.

Matric farewell photos

Matrice piccolo centro della prov. Di campobasso situato a circa 800mt di altezza.

(Matric Farewell Gala Event)

Matric farewell pics

Particolare della tomba di Berardo D’Aquino (XIV secolo)

Matrice des oeufs. : Ils sont pondus en groupes de 50 à 200 sur la face inférieure de feuilles d’ortie dioïque. Ils sont verts avec 8 cotes longitudinales et mesurent environ 1 mm de diamètre. La chenille à l’éclosion mesure 3 mm, elle est blanc verdâtre avec la capsule céphalique noir-brillant.

TRIVIA

--mine..

--my pic there was terrible..!

--it has been with me for like 2 years already..

--most students change the lanyard for the colorful and fancy ones..

--have to pay RM30 (if im not mistaken) if u lost it..

--the most important thing to have if ure UTPian..why?

1,cuz u will kena saman by the pak guard if u forgot to bring it when entering UTP compound.

2,u wont be able to get into IRC(library).

3, u cant sit final exam without it!!

(Matric farewell gala event)

La Chiesa Matrice di Trivero dedicata ai SS. Quirico e Giuditta

Matric Ballet Class National School of the Arts

better view

.

La Matrice (Assunta) Erice Sicilia eretta nel 1314.

Il protiro gotico davanti allo straordinario portale ogivale.

L'esterno è stato più volte rimaneggiato e, dello stile originario, sono rimasti soltanto i due portali. Il bel rosone è oggi parzialmente nascosto da un portico gotico aggiunto un secolo più tardi.

√ Matrice CB - Chiesa di S. Maria della Strada, terza domenica di novembre. Il tempo fugge più veloce del solito oggi, mentre tutt'intorno il silenzio sembra avvolgere qualunque cosa, anche il sole che se ne sta appartato.

   

Secondo me le matrici sono la cosa più bella nelle tecniche di stampa. È un lavoro che passa più volte dalla testa, alle mani, agli occhi, al disegno che viene fuori sempre un po' diverso. Acquista un andamento proprio, forse una vita sua.

Il segno è la base di tutta la pittura, di qualsiasi genere e tipo, di qualsiasi momento, serale o mattutino, arcaico o recente. E al tempo stesso è completamente diverso dalla pittura.

Senza segni non siamo.

Ha ragione Giancarlo Busato, la matrice non si cancella. Basta fidarsi tutti: artista, stampatore, compratore. Un po' più umano.

 

Nella xilografia il segno è anche una bella fatica. Bella. Con il linoleum è un po' più facile.

Qui a destra la matrice del secondo e ultimo passaggio, quello con l'inchiostro nero.

A sinistra la matrice del primo passaggio, con l'inchiostro rosso.

Ah, anche i rulli e gli inchiostri sono bellissimi, viene voglia di leccarli.

 

Scusate la lunghezza, ma quando ce vo' ce vo'.

 

Photography by Roz Berzen (rozb@discoverymail.co.za)

Matrix produced by a galvanoplastisches Verfahren, e.g., an electrotyped matrix. This “eye” with the capital R has been placed into a metal blank to create a matrix for typecasting.

 

Photographed at the Schriftgießerei Gerstenberg at the Haus für Industriekultur in Darmstadt – an Außenstelle of the Hessisches Landesmusuem.

1 3 4 5 6 7 ••• 79 80