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La madre di Benedetta lascia un crocchio di altre mamme e viene verso di me, dall'altra parte della strada, dove sono rimasto fermo, appoggiato alla mia macchina, autoescludendomi dalla gara per conquistare i posti in prima fila. È una bella donna sui quarant'anni, con gli occhi egizi, i capelli biondi tagliati corti e la mascella forte. Indossa una canottiera corta, come le ragazzine, che le scopre una bella striscia di pancia piatta e tirata attorno all'ombelico. Deve fare parecchia aerobica, per mantenersi così. La pelle del viso però è sciupata, quasi avvizzita, forse dalle troppe lampade che si fa per essere sempre abbronzata. Ha denti regolari e bianchissimi, che ora stanno biancheggiando per me.
– Com'è andata? – mi fa, come se fosse una domanda sensata. Se sapesse che sono rimasto qui fuori tutta la giornata lo sarebbe, ma non lo sa, e la sua domanda è senza senso.
– Bene.
– Vuoi che porti Claudia a casa con Benedetta, e poi te la riporto all'ora di cena?
I bambini cominciano ad accapare sulla porta, guidati dalle maestre, e a guardarsi intorno. Ma sono i più piccoli, quelli di prima e di seconda.
Nel semicerchio dei genitori cominciano ad alzarsi mani.
– Non so – rispondo – Sentiamo loro, magari.
– Io lo dico per te, se hai da fare.
– Oh no, grazie. Non ho nulla da fare.
Non so cosa sia, forse l'espressione del mio viso mentre dicevo questa cosa così normale, o il semplice fatto che sia vera, fatto sta che una fitta di compassione le trapassa dolorosamente il viso.
Dovrò stare attento a quello che dico, d'ora in poi, e a come lo dico, se non voglio che la gente mi compatisca.
– Be' – fa – allora sarà meglio che stai con lei. – Prende fiato – Però te l'ho detto, se hai bisogno, se un pomeriggio non puoi venire a prenderla, o se hai da lavorare, basta che mi telefoni. Qualunque cosa, dico davvero. Benedetta sta così bene con Claudia…
Oltre le teste dei genitori, intanto, osservo lo smistamento dei bambini un po' più grandi, di terza e di quarta. Le maestre si guardano attorno, trattenendo i bambini a volte anche con forza (ovviamente, loro si tufferebbero a caso nel mucchio dei genitori e solamente dopo si porrebbero il problema di trovare il proprio) finché non riconoscono la madre, il padre o la babysitter autorizzata che alza la mano e saluta: a quel punto mollano la presa sul bambino e gli indicano dove deve andare, ma quasi sempre il bambino lo sa già.
– Grazie – ripeto, e d'un tratto, volendolo aggiungere al mio ringraziamento, mi accorgo di non ricordare il suo nome (Barbara o Beatrice?). Così, il mio “grazie” rimane sospeso, e devo improvvisare un'altra chiusura – Sei molto gentile.
– Non fare complimenti, d'accordo? – insiste lei.
Spesso sono i bambini ad avvistare il genitore prima della maestra, e glielo segnalano mentre lei è occupata a cercare quello di un altro. In questo modo stravolgono l'ordine con il quale la maestra intendeva svolgere quest'ultimo compito della giornata, le assegnazioni si sovrappongono e il caos si estende da fuori a dentro.
– Sai una cosa? – dico – Sembra una vendita all'asta.
– Cosa?
Col mento le indico il portone della scuola.
– Questo modo di riconsegnare i bambini ai genitori. Sembra un'asta.
La madre di Benedetta si volta verso il portone, e guarda.
– Sembra che i bambini vengano messi all'asta uno per uno, e che i genitori se li contendano alzando la mano e facendo un'offerta. La maestra li aggiudica all'offerta migliore, che alla fine è sempre quella del vero genitore.
Spuntano altri bambini, ancora più grandi. Le quinte. La madre di Benedetta è immobile, lo sguardo fisso su quel poco che, da qui, riesce a vedere. Non è molto alta, e c'è ancora un bel po' di gente a fare muro. Sento improvvisamente montare uno strano magone.
– D'altra parte – aggiungo, ma vorrei stare zitto – come potrebbe essere altrimenti?
Ed ecco la maestra Paolina. Accanto a lei riconosco Francesco, Nilowfer e Alex, più una bimba che non ricordo di avere mai visto. Dietro, nella penombra dell'androne, si ammucchiano tutti gli altri, tra i quali immagino anche le nostre due figlie, che ancora non si vedono.
– Tocca a noi – dice la madre di Benedetta, facendo risplendere di nuovo il sorriso lattescente. Attraversiamo la strada, che comunque è bloccata dal gran sostare a chiacchierare e fare progetti dei genitori che hanno già avuto i bambini, tra i quali riecco i due amici d'infanzia, con due maschi per mano, che parlano con una mamma giovane e bella. Il traffico è paralizzato, e le macchine in coda vengono tenute a bada dal vigile, come se, senza il suo intervento, fossero capaci di fiondarsi nella folla e fare una strage. E c'è poco da fare: appena arriviamo nel mucchio ci intrufoliamo anche noi nello spazio inesistente tra persona e persona per conquistare la prima fila, come bambini emozionati, e come non faremmo mai in una coda alle poste o al supermercato. “Scusi. Scusi…”. Nessuno protesta.
Quando torniamo a vedere il portone, Claudia e Benedetta sono lì, accanto alla maestra Paolina. Claudia mi avvista subito, sorride, e il mio magone aumenta; poi dà di gomito all'amica, che scrutava da un'altra parte, per indicarle sua madre. A questo punto non resta che essere avvistati pure dalla maestra Paolina ed è fatta.
Alzo anch'io la mano, faccio anch'io la mia offerta: la maestra Paolina mi vede, annuisce, e col capo fa cenno a Claudia che può venire da me. Aggiudicata.
– Com'è andata, stellina? – le chiedo dopo averla baciata.
– Bene – risponde lei, e sembra proprio vero. È sorridente, rilassata, tranquilla. Il mio magone comincia a sciogliersi.
– Che avete fatto?
– Allora ciao, Pietro – ci interrompe la madre di Benedetta, che a quanto pare va di fretta.
– A domani – faccio. Poi accarezzo i capelli di sua figlia – Come sei abbronzata, Benedetta. Sei proprio bella.
La bimba sorride, lancia un misterioso sguardo d'intesa a Claudia e si allontana con la madre. La quale, però, fatto un passo, si ferma e si volta di nuovo verso di me.
– Mi raccomando – ripete – Niente complimenti.
– Certo – rispondo.
Poi è tutto un susseguirsi di saluti e di convenevoli scambiati al volo con altri genitori dei compagni di Claudia, per divincolarmi dai quali impiego qualche minuto. Claudia mi resta vicina, buona buona, e la sua calma mi aiuta a non innervosirmi, perché non penso ad altro che a rimanere solo con lei. Non si è accorta che sono rimasto qui fuori tutto il giorno, ne sono quasi certo, ma l'occhiata che si è scambiata con Benedetta mi ha fatto ritornare il magone, perché potrebbe significare che invece se n'è accorta, e che l'ha detto alla sua amica, e che insieme hanno studiato una loro strategia, per giocarci un po'…
Poi, quando anche la maestra Paolina ci ha salutato, possiamo finalmente scivolare in macchina.
– Allora – dico, prima ancora di mettere in moto – Che avete fatto?
Il telefonino attacca a suonare, e io non rispondo. Né guardo il display per vedere chi chiami. Claudia rimane interdetta per un attimo, toccandosi la treccia. Poi prende fiato, come per parlare, ma non dice nulla.
Ci siamo? Mi ha visto e non sa come dirmelo?
– Che c'è, stellina? – le dico, sorridendo.
– I topi non avevano nipoti – fa lei, e mi guarda fisso.
Accendo il motore, tanto per fare qualcosa. Il suo sguardo mi inchioda, mentre un lampo divertito le attraversa gli occhi. Il telefonino ricomincia a suonare, e io lo spengo. I topi non avevano nipoti.
– Non ci arrivo – ammetto.
Claudia ne sembra contenta, e annuisce impercettibilmente, abbassando gli occhi. Quando avrà vent'anni e farà questa stessa identica mossa sarà bellissima.
– Abbiamo fatto i palindromi – dice – Sai, le cose che si leggono uguali anche al contrario.
Io intanto esco dal parcheggio e avanzo piano tra i rimasugli dell'ammucchiata di genitori, che si sta disperdendo.
– I topi non avevano nipoti si legge anche al contrario – aggiunge – Prova…
E io provo, con un sorriso fesso stampato in faccia percorro a ritroso questa frase fantastica:
itopin onaveva non ipot i.
– È vero… – dico.
Mi viene in mente un indovinello palindromo inglese che imparai a Harvard, quando studiavo là: able I was ere saw I Elba. Fui abile finché non vidi l'Elba. Napoleone. Mi colpì, allora, quella frase, perché, oltre a essere palindroma, aveva un significato. Ma i topi non avevano nipoti è molto meglio, proprio perché non ha un significato – eppure, diversamente dall'altra, suona perfettamente naturale.
– Bella – dico – E come mai avete fatto i palindromi?
– La maestra Gloria ci ha spiegato la reversibilità.
– La reversibilità. Mica male. E che vi ha spiegato, la maestra?
– Ci ha spiegato che in matematica ci sono certe operazioni reversibili e certe altre irreversibili.
E poi ci ha spiegato che anche nella vita è lo stesso.
E che è molto meglio fare cose reversibili, se si può scegliere.
– Certo. E vi ha fatto qualche esempio di cose reversibili nella vita?
– No.
– Ma tu ci hai pensato, vero?
Claudia annuisce.
– Hmm Hmm…
– Tipo? Dimmi una cosa reversibile che si fa nella vita.
– Sposarsi.
– Cosa?
– C'è il divorzio, no? La maestra Gloria ci ha detto che sono reversibili tutte le cose dalle quali si può tornare indietro.
E sorride. Incredibile. Io e sua madre dovevamo sposarci dieci giorni fa; avevamo deciso che, siccome Lara non aveva più i genitori, sarebbe arrivata in Comune accompagnata da Claudia; le avevamo comprato un vestito bellissimo, e lei non vedeva l'ora di indossarlo, ma sua madre le è morta sotto gli occhi e quel vestito non lo indosserà più… Questa bambina è appesa a un filo, e non solo riesce ad affrontare discorsi del genere, ma riesce a farlo perfino sorridendo. E ora io che dico?
– Già.
C'è traffico. Avanziamo piano nel fiume di macchine, con i finestrini abbassati che vanificano il lavoro del climatizzatore. Il vento muove i capelli di Claudia, ne esalta la bellezza e la lucentezza. Solo la treccia rimane ferma, di lato, lungo la tempia. Che posso dire? Come posso cambiare argomento, prima che il discorso finisca sulle cose, invece, irreversibili ?
– Sai una cosa, stellina? – dico – Ho dimenticato come si chiama la mamma di Benedetta. Barbara o Beatrice?
– Barbara – risponde. Ma poi aggiunge, battagliera: – Perché non vuole che fai i complimenti alla Benedetta?
– Complimenti? Oh… Oh, no, no, stellina: non si riferiva a Benedetta. Era un modo di dire, per una faccenda di cui parlavamo prima che…
Ecco. A proposito delle cose che turbano i bambini e di quelle che non li turbano.
(Sandro Veronesi - Caos calmo)
questa libreria così incasinata a me piace.
Mi piace il contrasto delle rigide geometrie del mobile con i libri "sregolati"
já sabem que eu sou mais gatos... adoro cães, é verdade, mas sinto-me sempre mais à vontade a desenhar gatos... mas também é verdade que adoro desafios... e este foi um grande, gigante desafio!
o mário é um menino doce, meigo e muito especial que conheci aqui na maçã... já lhe fiz alguns gatos e desta vez o pedido foi muito mais especial: um cão parecido com a sua cadela de verdade, a joana, e uma transportadora para ela! claro que ao longo do processo fui adicionando pormenores, como a manta para brincar (onde não poderia faltar um gatinho, já que o mário adora gatos), um osso para o manjar da joana e uma coleira muito catita!
espero, de coração, que o mário tenha gostado de tudo, eu adorei faze-lo!
beijinhos doces para vocês
Cao (Corvus palmarum) y Cuervo de cuello blanco (Corvus leucognaphalus)
Ambas especies endémica de la isla y curiosamente en este valle estos dos individuos andan juntos.
Valle de Dos Rep. Dominicana