UGO SCALA – Galleria d’arte TRIFALCO –

by ugo scala

UGO SCALA – Galleria d’arte TRIFALCO – curatrice Giannina Angioletti Via del Vantaggio, 22/A
ROMA
Da venerdì 13 al 31 ottobre 1995

Un colore compatto e sostenuto definisce le forme di oggetti illuminati in modo radente, e pure la luce ha un timbro accentuato come una sottolineatura, una amorevole fissazione della fredda evidenza. Gli interni e le piccole intimità di ambiente che Scala dipinge sono quasi un diario,reso pubblico, di una cronaca familiare. Ma il tono autobiografico e narrativo è dimensionato su una poetica verista che ha la passione analitica per l’oggettività.Vediamo così un volto di donna, un apparecchio radiofonico, un letto disfatto,ed il profilo di un eterna periferia, con i bagliori di metallici tramonti, resi appena più teneri dalle trasparenze di una luce che quasi riflette i vapori, e gli odori, dello spazio mediterraneo. Ciò che conta, nella pittura di Scala, è la fedeltà al vero, fin quasi nei suoi valori tattili. E di questa fedeltà il suo prensile sguardo è testimone, mentre scontorna il profilo di certi interni-verità con una attenzione che è pure il segnale di una commossa identità di vita. Così, ecco un piccolo poeta della figura che parla di sé evitando l’elemento eccedente del protagonismo espressivo, e si nasconde dietro un delicato descrittivismo di immagini totalmente vivificate da un pennello amorevole, vigoroso e quanto mai rispettoso delle forme evocate. In questa vita di periferia, che è la vita di tutte le periferie del mondo, sembra non faccia mai freddo.Infatti c’è sempre una luce di allegra solarità che chiude la superficie di un quadro,ed accompagna per esempio il melanconico volto soprappensiero di una donna stanca del lavoro domestico, di una anziana curvata ad osservare il vuoto dei giorni, e perfino di certe penombre tagliate aldilà dei risalti di stabili senza volto, tra antenne televisive, panni appesi, interminabili, silenziosi tramonti. Attentamente osservata,la pittura di Scala finisce col catturare chi vi cerchi, invano, un poco di distrazione: al contrario, essa comporta lucidità di veduta,ed un rinnovato amore di dettaglio. I suoi colori puliti, sembrano il canto raffreddato di un acquarello pittoresco, come una esplosione di gioia contenuta, il segno di un naturalismo di vocazione che incontra sulla strada la dura replica della storia. Osservando la pittura di Scala ho pensato alla nomenclatura ironica di Sergio Ceccotti, col suo verismo paradossale: e ne ho misurato tutta la distanza. La cronaca periferica di Scala è priva del sorriso scettico necessario allo sguardo ironico, ed è tanto più densa di commento passionale, evocativo, quanto sostanzialmente melodico. C’è in questo filo di poetica «neorealista», lo spirito di Cesare Zavattini, col soffio, e la persuasione che solo i poveri sono matti, possono fare, o ricever, dei miracoli. Così un verista potrebbe ancora oggi parlare a noi degli « alberi dei limoni «, « di quelle montaliane « trombe d’oro della solarità «, autentica ricchezza dei poveri, come lo è, nella sua immediata semplicità, la fantasia. Ed è questo suggerimento sentimentale che la pittura di Scala ispira, pur dentro i rigori di un oggettivismo descrittivo che avvolte rievoca certe poetiche realiste tedesche in cui si venne a consolidare il grido dell’espressionismo. Ma non è il nostro caso : nel diario del narrato in pubblico da Scala il dolore umano non suggerisce l’assenza di passione, ma custodisce una segreta e tenace virtù di intime melodie che, nella pittura, acquistano serenità e dignità di poesia.
ottobre 1995
Duccio Trombadori

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