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Dopo l’aumento dei suicidi registrato nel 2009 (+5,6% rispetto al 2008) – sottolinea l’Eures -, prosegue nel 2010 la crescita del fenomeno (+2,1%). I suicidi accertati in Italia (fonte Istat) salgono a 3.048 (sono stati 2.986 nel 2009 e 2.828 nel 2008), evidenziando “un acuirsi della vulnerabilità complessiva del corpo sociale”.
Tale incremento – rileva il rapporto -, che investe trasversalmente la popolazione, coinvolge la componente maschile (+2,4%) in misura maggiore di quella femminile (+0,9%), consolidando la caratterizzazione al maschile del fenomeno: nel 2010 l’indice di rischio suicidario risulta tra gli uomini 4 volte superiore a quello delle donne (8,2 a fronte di 2,1).
I suicidi degli uomini (2.399 in valori assoluti) arrivano a rappresentare il 78,7% del totale, a fronte del 21,3% di quelli femminili (649 in termini assoluti), raggiungendo l’indice di mascolinità (maschi/100 femmine) il valore record di 369,6 (era pari a 241,5 nel 1990 ed a 301 nel 2000).
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, oltre la metà dei suicidi censiti in Italia avvengono in una regione del Nord (1.628 casi nel 2010, pari al 53,4% del totale), a fronte del 20,5% al Centro (624 casi) e del 26,1% al Sud (796 casi).
Ma è il Centro Italia a registrare nel 2010 la crescita più consistente (+11,2% sul 2009, che sale a +27,3% nel Lazio, con 266 suicidi), a fronte di un +1,8% a Nord e di un calo del 3,5% al Sud.
La Lombardia conferma il primato di regione con il numero più alto di casi (496 nel 2010, con un incremento del 2,9% rispetto al 2009); seguono il Veneto (320, pari al 10,5%, in aumento del 16,4% rispetto al 2009) e l’Emilia Romagna (278, pari al 9,1%).
L’Eures rileva che sono stati 362 nel 2010 i suicidi dei disoccupati, superando ulteriormente i 357 casi del 2009, che già rappresentavano una forte impennata rispetto ai 270 suicidi accertati in media del triennio precedente (rispettivamente 275, 270 e 260 nel 2006, 2007 e 2008), confermando la correlazione tra rischio suicidario e integrazione nel tessuto sociale.
L’impatto della crisi sul mondo del lavoro – spiega l’istituto – non interessa soltanto il lavoro subordinato ed i “senza lavoro”, ma investe direttamente anche l’insieme del lavoro autonomo: i dati disponibili, relativi agli ultimi due anni, segnalano infatti ben 343 suicidi tra gli “autonomi” nel 2009 e 336 nel 2010, evidenziando come molto alto risulti il rischio suicidario in questa componente della forza lavoro direttamente esposta all’impatto della crisi.
Più in dettaglio, nel 2010 si contano 192 vittime tra i lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) e 144 tra gli imprenditori e i liberi professionisti (sono state 151 nel 2009), costituite in oltre il 90% dei casi da uomini, confermando come tutte le variabili legate a fattori materiali presentino indici di mascolinità superiori a quello già elevato rilevato in termini generali.
Considerando l’indice di rischio specifico (suicidi per 100 mila abitanti della medesima condizione) sono i disoccupati a presentare l’indice più alto (17,2), seguiti con scarti significativi dagli imprenditori e liberi professionisti (10 suicidi ogni 100 mila imprenditori e liberi professionisti), colpiti dalle fluttuazioni del mercato e, come noto, dai ritardi nei pagamenti per i beni e servizi venduti (in primo luogo da parte della Pubblica amministrazione) e dalla conseguente difficoltà di accesso al credito; seguono i lavoratori in proprio (5,5) e chiudono la graduatoria del rischio i “più tutelati” lavoratori dipendenti (4,5).
L’elevato numero di suicidi attribuiti a ragioni economiche – sottolinea l’Eures conferma il rapporto diretto tra il fenomeno suicidario e la crisi in atto: nel biennio 2009-2010 questi registrano infatti un forte incremento, attestandosi su valori vicini a 200 casi l’anno (198 nel 2009 e 187 nel 2010), a fronte dei 150 del 2008 e di valori vicini ai 100 casi nel periodo 2001-2007. Il 2010 registra peraltro un incremento del 24,7% sul 2008 e del 58,5% sul 2007, raggiungendo un +125,3% rispetto al valore minimo di 83 casi del 2001.
Il fenomeno più rilevante è costituito dalla crescita dei suicidi nella fascia 45-64 anni (+5,8% nel 2010 rispetto al 2009 e +16,8% rispetto al 2008), una fascia particolarmente vulnerabile in termini occupazionali, ovvero di opportunità di ri-collocazione una volta perduto il lavoro, definita dall’Eures degli “esodati dalla vita”. “Non appare quindi fuori luogo sottolineare – spiega il rapporto – come nel 2010 la disoccupazione abbia colpito la popolazione della fascia 45-64 anni più delle altre, con un incremento del 12,6% (+13,3% nella fascia 45-54 anni e +10,5% in quella 55-64 anni), a fronte di una crescita complessiva dell’8,1%. Ed è proprio in questa fascia che si concentra anche il problema dei cosiddetti ‘esodati’, ovvero di quei lavoratori usciti dal mercato del lavoro attraverso canali di protezione sociale e che l’attuale riforma Monti-Fornero del sistema pensionistico (in attesa di interventi correttivi), rischia di lasciare totalmente privi di reddito (al riguardo le stime più ottimistiche parlano di 65.000 lavoratori, le più pessimistiche di 350.000)”.
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Dopo l’aumento dei suicidi registrato nel 2009 (+5,6% rispetto al 2008) – sottolinea l’Eures -, prosegue nel 2010 la crescita del fenomeno (+2,1%). I suicidi accertati in Italia (fonte Istat) salgono a 3.048 (sono stati 2.986 nel 2009 e 2.828 nel 2008), evidenziando “un acuirsi della vulnerabilità complessiva del corpo sociale”.
Tale incremento – rileva il rapporto -, che investe trasversalmente la popolazione, coinvolge la componente maschile (+2,4%) in misura maggiore di quella femminile (+0,9%), consolidando la caratterizzazione al maschile del fenomeno: nel 2010 l’indice di rischio suicidario risulta tra gli uomini 4 volte superiore a quello delle donne (8,2 a fronte di 2,1).
I suicidi degli uomini (2.399 in valori assoluti) arrivano a rappresentare il 78,7% del totale, a fronte del 21,3% di quelli femminili (649 in termini assoluti), raggiungendo l’indice di mascolinità (maschi/100 femmine) il valore record di 369,6 (era pari a 241,5 nel 1990 ed a 301 nel 2000).
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, oltre la metà dei suicidi censiti in Italia avvengono in una regione del Nord (1.628 casi nel 2010, pari al 53,4% del totale), a fronte del 20,5% al Centro (624 casi) e del 26,1% al Sud (796 casi).
Ma è il Centro Italia a registrare nel 2010 la crescita più consistente (+11,2% sul 2009, che sale a +27,3% nel Lazio, con 266 suicidi), a fronte di un +1,8% a Nord e di un calo del 3,5% al Sud.
La Lombardia conferma il primato di regione con il numero più alto di casi (496 nel 2010, con un incremento del 2,9% rispetto al 2009); seguono il Veneto (320, pari al 10,5%, in aumento del 16,4% rispetto al 2009) e l’Emilia Romagna (278, pari al 9,1%).
L’Eures rileva che sono stati 362 nel 2010 i suicidi dei disoccupati, superando ulteriormente i 357 casi del 2009, che già rappresentavano una forte impennata rispetto ai 270 suicidi accertati in media del triennio precedente (rispettivamente 275, 270 e 260 nel 2006, 2007 e 2008), confermando la correlazione tra rischio suicidario e integrazione nel tessuto sociale.
L’impatto della crisi sul mondo del lavoro – spiega l’istituto – non interessa soltanto il lavoro subordinato ed i “senza lavoro”, ma investe direttamente anche l’insieme del lavoro autonomo: i dati disponibili, relativi agli ultimi due anni, segnalano infatti ben 343 suicidi tra gli “autonomi” nel 2009 e 336 nel 2010, evidenziando come molto alto risulti il rischio suicidario in questa componente della forza lavoro direttamente esposta all’impatto della crisi.
Più in dettaglio, nel 2010 si contano 192 vittime tra i lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) e 144 tra gli imprenditori e i liberi professionisti (sono state 151 nel 2009), costituite in oltre il 90% dei casi da uomini, confermando come tutte le variabili legate a fattori materiali presentino indici di mascolinità superiori a quello già elevato rilevato in termini generali.
Considerando l’indice di rischio specifico (suicidi per 100 mila abitanti della medesima condizione) sono i disoccupati a presentare l’indice più alto (17,2), seguiti con scarti significativi dagli imprenditori e liberi professionisti (10 suicidi ogni 100 mila imprenditori e liberi professionisti), colpiti dalle fluttuazioni del mercato e, come noto, dai ritardi nei pagamenti per i beni e servizi venduti (in primo luogo da parte della Pubblica amministrazione) e dalla conseguente difficoltà di accesso al credito; seguono i lavoratori in proprio (5,5) e chiudono la graduatoria del rischio i “più tutelati” lavoratori dipendenti (4,5).
L’elevato numero di suicidi attribuiti a ragioni economiche – sottolinea l’Eures conferma il rapporto diretto tra il fenomeno suicidario e la crisi in atto: nel biennio 2009-2010 questi registrano infatti un forte incremento, attestandosi su valori vicini a 200 casi l’anno (198 nel 2009 e 187 nel 2010), a fronte dei 150 del 2008 e di valori vicini ai 100 casi nel periodo 2001-2007. Il 2010 registra peraltro un incremento del 24,7% sul 2008 e del 58,5% sul 2007, raggiungendo un +125,3% rispetto al valore minimo di 83 casi del 2001.
Il fenomeno più rilevante è costituito dalla crescita dei suicidi nella fascia 45-64 anni (+5,8% nel 2010 rispetto al 2009 e +16,8% rispetto al 2008), una fascia particolarmente vulnerabile in termini occupazionali, ovvero di opportunità di ri-collocazione una volta perduto il lavoro, definita dall’Eures degli “esodati dalla vita”. “Non appare quindi fuori luogo sottolineare – spiega il rapporto – come nel 2010 la disoccupazione abbia colpito la popolazione della fascia 45-64 anni più delle altre, con un incremento del 12,6% (+13,3% nella fascia 45-54 anni e +10,5% in quella 55-64 anni), a fronte di una crescita complessiva dell’8,1%. Ed è proprio in questa fascia che si concentra anche il problema dei cosiddetti ‘esodati’, ovvero di quei lavoratori usciti dal mercato del lavoro attraverso canali di protezione sociale e che l’attuale riforma Monti-Fornero del sistema pensionistico (in attesa di interventi correttivi), rischia di lasciare totalmente privi di reddito (al riguardo le stime più ottimistiche parlano di 65.000 lavoratori, le più pessimistiche di 350.000)”.