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Abba Vive

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dall'Unità

 

Milano si ferma per Abdul. La famiglia: non dimenticatelo

 

Dai Bastioni di Porta Venezia fino a piazza Duomo, con una sosta al muretto dove Abba e i suoi amici si incontravano ogni giorno. Milano ricorda Abdul, il diciannovenne originario del Burkina Faso ucciso una settimana fa dalle sprangate dei gestori di un locale. Ad aprire il corteo, uno striscione che recita «Abba Vive, Razzismo Stop», realizzato dai ragazzi del Comitato per non dimenticare Abba, per fermare il razzismo nato a Cernusco, il paese dove Abdul viveva, sull’onda dell’indignazione per questo omicidio su cui deve rimanere alta l’attenzione.

 

In testa alla manifestazione ci sono i genitori e la sorella di Abdul che venerdì in una lettera hanno rivolto un appello a partecipare al corteo: «In questi giorni per noi molto difficili – scrivono – stiamo ricevendo la solidarietà e l’affetto di tante persone e per noi questa vicinanza è molto importante perché ci aiuta a superare il dolore per un fatto inspiegabile, ci dà coraggio e non ci fa sentire soli: per questo ringraziamo tutti». Sabato bisogna esserci, dicono, «per dire che quello che è successo non deve più accadere, per dire no al razzismo, per non dimenticare».

 

Già, perché il rischio è che si archivi l’omicidio di Abdul come uno dei tanti, e magari si diffonda l’idea che forse un po’ Abba e i suoi amici se la sono andata a cercare. Ma l’autopsia sul corpo di Abdul ha riscontrato segni di accanimento che non hanno giustificazioni, ferite plurime inferte dall’odio verso chi è diverso. Quello che gli amici di Abdul che quella sera erano con lui raccontano da giorni. E che Fausto e Daniele Cristofoli, i due aggressori, non sono riusciti a spiegare.

 

La polizia ha calcolato che sono almeno settemila i partecipanti alla manifestazione. Durante il percorso, ci sono state diverse soste in cui i manifestanti si sono seduti per terra gridando «Vergogna» e chiedendo «Giustizia». Alcuni momenti di tensione si sono registrati al termine del corteo, quando alcune decine di giovani hanno iniziato a correre da piazza Duomo verso via Mengoni, per raggiungere il luogo dell'aggressione, mentre la polizia in tenuta antisommossa tentava di fermarli.

 

 

Roma, gli italo-africani in libreria: «Attenti alla nostra rabbia»

Luciana Cimino e Cesare Buquicchio

 

 

«Purtroppo l’Italia è il mio paese...». Jessica si blocca subito e si corregge. «No. Perché ho detto purtroppo? Non è vero, io adoro l’Italia. Io sono italiana. Ma non è giusto…». Jessica ha 21 anni e studia giurisprudenza. A ricordarle Capo Verde, il paese d’origine di sua madre, c’è solo il colore della pelle. Lo stesso che ha segnato il tragico destino di Abdul Guibre, il 19enne ucciso a sprangate domenica notte a Milano per il solo sospetto d’aver rubato un pacco di biscotti. Jessica ha scelto la piccola libreria Griot a Trastevere, affollata per la maratona di letture organizzata giovedì sera per ricordare "Abba", per lanciare il suo allarme. «State attenti. Attenti alla nostra rabbia - dice prendendo il microfono -. Continuano a cadere gocce che prima o poi faranno traboccare il vaso. Non tutti vogliono sempre stare zitti. Continuare ad avere pazienza, come mi diceva mia madre quando tornavo da scuola in lacrime dopo l’ennesimo insulto razzista, non basta più».

 

La minuscola libreria sembra una piazza. Stipate nella stanza, sedute per terra, aggrappate alle porte, centinaia di persone hanno portato il loro contributo alla serata intitolata "Nessuna aggravante!". Non soltanto una manifestazione in memoria del ragazzo sullo stile delle veglie funebri africane, ma, soprattutto, una testimonianza di sdegno per la «ricostruzione discutibile fatta dagli inquirenti che escludono la motivazione razziale dall’aggressione ad Abdul e che preoccupa tutti coloro che osservano con sgomento il crescente clima d’intolleranza in Italia». «Avevamo pensato a un sit-in - dice al pubblico Igiaba Scego, scrittrice italiana di origine somala - ma a Roma di questi tempi è difficile ottenere i permessi». Già, «di questi tempi». «C’è un clima da "Mississipi Burning" che fa tremare i polsi».

 

Tornano gli incubi per gli stranieri che vivono in Italia, lo ammette Jean Leonard Touadi, nato in Congo, deputato del Pd ed ex assessore alla sicurezza al Campidoglio, che dopo le letture e i canti prende la parola per introdurre il dibattito. «Ma siamo qui stasera - dice rispondendo a Jessica - proprio per evitare che quella rabbia esploda. Per evitare che un giorno uno di voi metta una bomba nella metropolitana come è successo a Londra».

 

«L’idea di un bianco che nella notte insegue un nero è un’angoscia che sta nella nostra memoria collettiva, è successo sempre e succede ora anche contro donne e gay». Ali Baba Faye, sociologo con un lungo passato di militanza politica, racconta di quando, qualche sera fa, passeggiando nel popoloso quartiere di Garbatella, ha visto due bianchi che lo guardavano e, per la prima volta dopo anni, ha avuto paura. «Il linguaggio è la prima forma di violenza, dovrebbero ricordarlo i media italiani, soprattutto quei grandi quotidiani che danno spazio agli sfoghi dei cittadini che hanno paura e che confessano che stanno diventando razzisti».

 

Qualcosa forse si è rotto nei meccanismi, mai stati semplici, di convivenza di questo paese. «Quello di Abdul non è un caso isolato - aggiunge Lakhous Amara, autore del libro "Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio", che si definisce "italo-algerino" - ma è frutto della costruzione sistematica del nemico, che sia musulmano o nero o gay». «La novità di oggi - spiega Anna Maria Rivera, antropologa - è che è avvenuta una saldatura tra razzismo istituzionale e razzismo popolare, ma la cosa che fa più paura è che a sinistra non sembra esserci abbastanza consapevolezza della deriva in cui è precipitata la società italiana».

 

Accoglie la critica Marcella Lucidi, ex sottosegretario all’interno con delega all’immigrazione del governo Prodi, in piedi tra il pubblico con Laura Boldrini, dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: «Dobbiamo capire cosa significhi essere cittadini in una società in cui le questioni sociali diventano penali». E Touadi si domanda «dove eravamo quando il Mediterraneo si è trasformato da luogo del dialogo in cimitero per "candidati" all’immigrazione?». «Quando sono arrivato io - continua Touadi - gli italiani dicevano "dateci tempo, l’immigrazione per noi è un fatto nuovo". Il tempo è scaduto, le seconde generazioni pretendono percorsi diversi, rischiamo l’implosione sociale». La serata in onore di Abdul non basta, ci vogliono altri momenti di riflessione, lo dice il pubblico della piccola libreria trasteverina specializzata in testi africani. Incontrarsi e parlare non basta ad Alphousseyni. Lui sta partendo per Milano per la manifestazione che ci sabato oggi alle 14.30. Ma è anche uno dei membri più attivi dell’associazione G2 che riunisce i ragazzi della "seconda generazione".

 

Per Giusy, «qui ci siamo ritrovati, ora c’è bisogno di una reazione». Intanto ci saranno una serie di incontri (forse a cadenza settimanale) per rinvigorire l’appannato movimento antirazzista romano e poi una grande manifestazione nazionale il 4 ottobre, che si concluderà con un concerto a piazza Venezia. A Milano sabato si andrà in piazza e a Bologna e in altre città si stanno moltiplicando le iniziative simili a quella organizzata da Griot per Abdul, un ragazzo italiano.

 

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Uploaded on September 20, 2008
Taken on September 20, 2008