italo dei silenzi
Pazza di luce #3
Girar per boschi porta ad incontri a volte mozzafiato, nel senso letterale: che lasciano senza parole.
Magari si prova anche ad articolare qualcosa con i compagni di viaggio; solo la lenta digestione consente l'assimilazione dell'incontro.
L'iperbole tecnologica a cui siamo venduti consente di catturare e condividere l'immagine, cioè l'anima, di ciò che si vede
A costo di vendermi al 'nemico del genere umano', si sarebbe detto qualche tempo fa, presento qui una radice, probabilmente di faggio.
Non si fatica a scorgere il selvatico scultore all'opera nel rappresentare un corpo umano; e non può non colpire la particolare grazia nel definire i fianchi, l'inguine, il deliquio del corpo abbandonato ai sensi.
La mente si ricollega a sensazioni simili; corre veloce alla chiesa di Santa Maria della Vittoria, in via XX settembre a Roma, dove ho visto l'estasi di Santa Teresa d'Avila di Bernini, l'opera che l'autore ha definito essere stata 'la più bell'opera che uscisse dalla sua mano'.
Estasi.
Il collegamento mistico del corpo alla gioia.
Per cercar senso va citato il passo dell'autobiografia di Santa Teresa d'Avila nel descrivere la propria:
"Un giorno mi apparve un angelo
bello oltre ogni misura.
Vidi nella sua mano una lunga lancia
alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco.
Questa parve colpirmi più volte nel cuore,
tanto da penetrare dentro di me.
II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce,
però era tanto dolce
che non potevo desiderare di esserne liberata.
Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento.
Quando l'angelo estrasse la sua lancia,
rimasi con un grande amore per Dio."
Il paragone con qualcosa di meno prosaico dell'estasi mistica appare chiaro.
E' proprio a questo punto che si differenziano le letture.
Interpretare l'estasi mistica con 'nulla di più' dell'esperienza più o meno diretta dell'atto sessuale è semplicistico e non rende giustizia nè alla (fantastica, andatela a vedere; quella donna 'gode') scultura nè al passo dell'autobiografia.
Allo stesso modo interpretare questo stato della coscienza come qualcosa di più elevato della materialità animale è, a mio avviso, ugualmente fuorviante e ci porta verso le litanie adoranti vuote di contenuto.
Vedo entrambi i piani come il riflesso del Mistero che ci tiene in vita; non importa se si manifesti come selvatica animalità o estatica visione mistica: la radice (!) è la stessa.
Non ci va molto a buttarsi un poco oltre, a disossare queste esperienze dall'elemento tempo ed estrarne un senso che vada oltre al delimitato momento preciso dell'estasi o dell'atto sessuale, per espandersi in continuità per tutto il tempo del nostro vivere ed immergerci nel sacro quotidiano, nel trovare queste esperienze nella forma delle pagnotte, nel sorriso del formaggiaio o nel corpo caro delle persone vicine.
Oppure, in una radice trovata su un sentiero passeggiando con un amico.
Pazza di luce #3
Girar per boschi porta ad incontri a volte mozzafiato, nel senso letterale: che lasciano senza parole.
Magari si prova anche ad articolare qualcosa con i compagni di viaggio; solo la lenta digestione consente l'assimilazione dell'incontro.
L'iperbole tecnologica a cui siamo venduti consente di catturare e condividere l'immagine, cioè l'anima, di ciò che si vede
A costo di vendermi al 'nemico del genere umano', si sarebbe detto qualche tempo fa, presento qui una radice, probabilmente di faggio.
Non si fatica a scorgere il selvatico scultore all'opera nel rappresentare un corpo umano; e non può non colpire la particolare grazia nel definire i fianchi, l'inguine, il deliquio del corpo abbandonato ai sensi.
La mente si ricollega a sensazioni simili; corre veloce alla chiesa di Santa Maria della Vittoria, in via XX settembre a Roma, dove ho visto l'estasi di Santa Teresa d'Avila di Bernini, l'opera che l'autore ha definito essere stata 'la più bell'opera che uscisse dalla sua mano'.
Estasi.
Il collegamento mistico del corpo alla gioia.
Per cercar senso va citato il passo dell'autobiografia di Santa Teresa d'Avila nel descrivere la propria:
"Un giorno mi apparve un angelo
bello oltre ogni misura.
Vidi nella sua mano una lunga lancia
alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco.
Questa parve colpirmi più volte nel cuore,
tanto da penetrare dentro di me.
II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce,
però era tanto dolce
che non potevo desiderare di esserne liberata.
Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento.
Quando l'angelo estrasse la sua lancia,
rimasi con un grande amore per Dio."
Il paragone con qualcosa di meno prosaico dell'estasi mistica appare chiaro.
E' proprio a questo punto che si differenziano le letture.
Interpretare l'estasi mistica con 'nulla di più' dell'esperienza più o meno diretta dell'atto sessuale è semplicistico e non rende giustizia nè alla (fantastica, andatela a vedere; quella donna 'gode') scultura nè al passo dell'autobiografia.
Allo stesso modo interpretare questo stato della coscienza come qualcosa di più elevato della materialità animale è, a mio avviso, ugualmente fuorviante e ci porta verso le litanie adoranti vuote di contenuto.
Vedo entrambi i piani come il riflesso del Mistero che ci tiene in vita; non importa se si manifesti come selvatica animalità o estatica visione mistica: la radice (!) è la stessa.
Non ci va molto a buttarsi un poco oltre, a disossare queste esperienze dall'elemento tempo ed estrarne un senso che vada oltre al delimitato momento preciso dell'estasi o dell'atto sessuale, per espandersi in continuità per tutto il tempo del nostro vivere ed immergerci nel sacro quotidiano, nel trovare queste esperienze nella forma delle pagnotte, nel sorriso del formaggiaio o nel corpo caro delle persone vicine.
Oppure, in una radice trovata su un sentiero passeggiando con un amico.