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Storie di San Filippo by Filippino Lippi, Filippo Strozzi Chapel (Santa Maria Novella)

La cappella di Filippo Strozzi (o di San Giovanni Evangelista) si trova nel transetto destro della basilica di Santa Maria Novella a Firenze, accanto alla cappella centrale. È celebre per gli affreschi di Filippino Lippi, realizzati tra il 1487 e il 1502.

La decorazione della cappella fu commissionata da Filippo Strozzi il vecchio nel 1486, vent'anni dopo il suo rientro dall'esilio a Napoli, quando stava iniziando un vasto programma di riabilitazione del suo nome e della sua famiglia che si esplicò anche nella costruzione del celeberrimo palazzo Strozzi. Quell'anno il banchiere acquistò il giuspatronato dai Boni della cappella già dedicata a san Giovanni Evangelista. In data 21 aprile 1487 veniva stipulato il contratto con il pittore Filippino Lippi, uno degli artisti più all'avanguardia nella scena fiorentina dell'epoca, il quale avviò, per un compenso pattuito di 350 fiorini d'oro, il programma pittorico negli anni immediatamente successivi, entro il 1488. Il committente morì già nel 1491, senza protestare per la dilazione dei lavori che sarebbero dovuti essere conclusi da contratto entro il 1490. Tanto meno lo fecero gli eredi, che lasciarono lavorare l'artista senza problemi di tempo, venendo conclusa solo nel 1502, a quindici anni dalla stesura del contratto. La maggior parte dei pagamenti all'artista avvenne infatti nel 1494-1498, ad opera di Alfonso Strozzi, figlio di Filippo. Alfonso fu uno dei più attivi oppositori di Savonarola; il frate nelle sue prediche attaccò coloro che si facevano allestire monumenti funebri particolarmente sontuosi e la cappella Strozzi fu in quel senso uno dei più vistosi del momento.

I lavori avevano subito un'interruzione per il soggiorno romano dell'artista durante il quale aveva affrescato la cappella Carafa in Santa Maria Sopra Minerva (1488-1493), per rientrare a Firenze e lavorare intensamente tra il 1494 e il 1495, poi più lentamente tra il 1497 e la conclusione. Probabilmente gli affreschi seguirono lo schema classico dei lavori di tale genere: iniziati dagli spicchi della volta, seguirono nelle lunette, nella parete centrale e poi, sicuramente dopo il soggiorno romano, le due scene di Miracoli nel registro mediano, con il termine nella scena della Resurrezione di Drusiana, dove si trova la data 1502.

La presenza di fastose architetture "archeologiche" fa pensare all'influenza ricevuta dai monumenti romani durante il suo soggiorno nella città eterna. Lo stile segna la maturità dell'artista e il definitivo distacco dai modi di Sandro Botticelli: per la sfarzosità, i capricci e l'attenzione ai dettagli, questi affreschi vengono indicati come una delle più antiche testimonianze della maturazione di un gusto manierista a Firenze. Le vetrate, disegnate dallo stesso Filippino, vennero installate solo dopo la morte del committente, fra il giugno e il luglio 1503.

La parete destra è occupata dalla Storie di San Filippo: in basso San Filippo scaccia il dragone dal tempio di Hierapolis e sulla lunetta la Crocifissione di San Filippo.

Il miracolo, tratto dalla Leggenda Aurea, parla dell'episodio in cui san Filippo, trovandosi in Scizia, venne costretto dai pagani a fare un sacrificio al tempio di Marte, la cui statua è ben visibile al centro dell'affresco, accanto agli animali simbolici del picchio e del lupo sacro. Mentre il sacerdote però sta preparando il fuoco per il sacrificio, un drago pestilenziale sbuca dalla base della statua e uccide il figlio del sacerdote con il suo alito mortifero. La buca nel gradino venne lodata dal Vasari che raccontò l'aneddoto secondo cui un giovane aiutante di Filippino la scambiò per vera cercando di nasconderci un oggetto. Il santo, ritratto in primo piano, ricaccia il demone pagano e resuscita il giovane con un gesto di benedizione. In alto, sulla sommità dell'emiciclo dell'altare che incornicia la statua di Marte, sotto statue di angeli che sottomettono due prigionieri, si legge l'iscrizione EX H[OC] TRI[UMPHO] D[EO] M[AXIMO] VICT[ORIA] ("da questo trionfo vittoria a Dio massimo"), una precisazione della vittoria del Cristianesimo sui pagani. La forma dell'altare, che assomiglia per sontuosità a un tempio vero e proprio, venne ripresa da un altare conservato nei Musei Vaticani. Marte sembra tutt'altro che un simulacro inanimato, ma sembra vivente nell'atto di scagliare i fulmini (anche se sarebbero attributo esclusivo di Giove) in sfida al santo cristiano, mentre accarezza il lupo (con il mantello reso in maniera morbidissima) e ha accanto un picchio, suoi animali sacri. Anche le quattro erme sotto di lui hanno un aspetto molto umano, che reggono un cornicione dove sono appoggiate vasellami e recipienti variopinti e due trofei d'armi, ispirati ai rilievi del basamento della Colonna Traiana.

Il negroide all'estrema destra, esoticamente abbigliato con un colbacco, è probabilmente lo schiavo di Filippo a cui il banchiere diede la libertà prima di morire. Il personaggio alla sua sinistra è stato talvolta proposto come autoritratto di Filippino. Si vede anche un orientale con turbante, forse una figura che colpì l'immaginazione di Filippino durante il suo viaggio a Venezia nel 1489. Tra i personaggi uno tiene in mano un alto candelabro a cinque braccia, probabilmente una citazione della menorah che copare sui rilievi dell'arco di Tito.

Il tema è ovviamente lo scontro fra cultura cristiana e paganesimo, di scottante attualità per l'epoca, essendo il periodo del "governo" teocratico del Savonarola: si pensi per esempio al chiaro messaggio del mostro evocato da San Filippo dal tempio di Marte, simbolo del demonio, che con il suo venefico respiro uccide il figlio del sacerdote, mettendo tutti in guardia dalla pericolosità della religione pagana. Secondo la Leggenda Aurea infatti, san Filippo era stato fatto prigioniero dai pagani di Scizia, e venne portato nel tempio per obbligarlo a sacrificare al Dio pagano. Nel cielo sulla destra poi appare Cristo con la Croce.

Filippino inserì i suoi personaggi in scenografie che ricreano quindi il mondo antico in ogni minimo dettaglio ma le sovraccaricò di decorazioni a grottesche, frutto del soggiorno romano, tanto da creare una decorazione "animata", misteriosa, fantastica e inquietante, raggiungendo l'irrealtà di un incubo. Il fastoso altare del tempio di Hierapolis, per esempio, è realizzato con un accumulo di trofei, telamoni e sfingi.

Nella fascia tra questa scena e quella superiore corre una ricca decorazione con al centro due putti che reggono una torcia accesa in mano e la Veronica, su cui si trovano il calice e la patena che alludono alla morte di Cristo.

La lunetta soprastante raffigura il Martirio di San Filippo, che venne crocifisso dopo la cattura a Hierapolis, tra le rovine del tempio che aveva fatto distruggere. Tra gli astanti del gruppo di sinistra si trovano i ritratti del committente e di suo figlio.

In queste scene, come nelle successive, gli equilibri sono volutamente spezzati, i colori discordanti, le scene affollate, i gesti calcati, le espressioni caricate, le figure e le architetture ambigue, il tutto a creare un insieme anticlassico per eccellenza. Nelle scene di martirio l'artista pose carnefici feroci deformati da smorfie, che si accaniscono contro i santi.

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Uploaded on December 8, 2023
Taken on January 2, 2023