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Campo nomadi ROM, via Triboniano, Milano, periferia Nord-Ovest

Cammino lungo il margine della via Triboniano che costeggia il grande cimitero maggiore della metropoli. Si scorgono da lontano i grattacieli in costruzione e, in primo piano, cumuli di spazzatura che contrastano violentemente con quelle evidenze di una economia separata, ricca e incomunicante.

Un giovane con bicicletta alla mano procede dietro di me. Osserva la mia fotocamera al collo. Lo sento sputare per terra. Compio dei cenni distensivi e lui capisce. Mi affianca e poi passa oltre. Ad un tratto, mentre sto guardando altrove, si volta verso di me e mi ammonisce a non farmi rubare l'attrezzatura..

Non ho prevenzioni e timori perche' mi sto avviando al campo privo di qualsiasi logica di avversione e di ostilità. E' la curiosità che mi muove e la voglia di vedere, di testimoniare qualcosa di quella realtà cosi' drammaticamente portata alla ribalta della cronaca recente..

Ad uno degli ingressi dei quattro campi ROM un ragazzo sta appoggiato al muro con aria sfaccendata e affatto bellicosa. Mi avvicino perche' intuisco che per riprendere anche un solo fotogramma devo in qualche modo rompere il ghiaccio, farmi riconoscere, entrare in contatto personale.. E' piu' che altro una mia necessità istintiva psicologica.

Segue un breve dialogo. Mi presento non come fotografo o giornalista ma come uomo di parrocchia. E' un modo per non irritare e rassicurare quella gente.

Entro al campo da un viottolo di terra e asfalto sconquassato. Pochi mi notano e quei pochi non badano quasi a me. Sono sorpreso e titubante ma scatto qualche foto, con un vago senso di disagio che mi accompagnerà per la durata della mia breve esplorazione.

Pozzanghere per terra, buche, pietre, spazzatura distribuita ovunque a tonnellate.. Una radio a transistor trasmette musica melodiosa che si perde fra le roulotte adattate, le torrette elettriche fatiscenti, le tende, i panni stesi. Ci sono bimbi ben vestiti che scorrazzano all'intorno, ma non fanno chiasso e sembrano felici, come quelli della canzone di Claudio Lolli.

Non si odono rumori molesti. E' una quiete surreale da Purgatorio quella che circonda il campo immerso in una leggera foschia autunnale.

A breve distanza alcuni visitatori acquistano fiori per la visita al cimitero e non si curano degli zingari, ne' gli zingari si curano dei primi. I due mondi si ignorano.

Il ragazzo del campo mi ha riferito che l'AMSA passa al campo a ritirare i sacchi, ma in maniera insufficiente. Quel campo sembra terra di nessuno, terra sconsacrata dal municipio invece che dalla Chiesa. E' una Caienna moderna che le Istituzioni non possono rimuovere ma possono soltanto "dimenticare".

Mentre guardo una donna che lava accuratamente un tappeto con abbondante acqua corrente mi sorprendo a pensare che quegli zingari nomadi compiono, in fondo, gli stessi gesti semplici ed essenziali che compiono gli altri popoli stanziali e "moderni" che li ospitano.

 

(Ringrazio la redazione della rivista del volontariato della regione Lazio "Reti solidali", che ha apprezzato il mio reportage pubblicando questa istantanea in copertina del primo numero 2011

www.volontariato.lazio.it/retisolidali/default.asp)

 

 

 

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Uploaded on November 25, 2010
Taken on November 25, 2010