costagar51
Caltabellotta: “u chianu di la matrici “ a 360°
Ii mio primo video commentato da Totò RIZZUTI:
Praticamente ti trovi in Piazzale Ruggero Lauria per tutti i caltabellottesi: “chianu di la matrici “ da sempre.
In questo ampio spazio si svolge, da sempre, “lu ‘ncontru “ cioè l’incontro, tra la madonna e il crocifisso per la “festa di la madonna”, che un tempo si svolgeva a fine maggio e che da una ventina d’anni si svolge a fine luglio per permettere la partecipazione degli emigranti che tornano per le vacanze;
video.sky.it/news/cronaca/caltabellotta-il-rito-per-la-ma... (Caltabellotta, il rito per la Madonna dei miracoli - 31 luglio 2019)
e a Pasqua, tra la madonna, il cristo risorto e L’arcangelo Michele, che fanno ballare come un invasato per la gioia che cristo è risorto e per essere lui il mediatore dell’incontro. Dopo detto incontro avviene la processione lungo tutto il paese, che si svolge dalla sera fino a quasi l’indomani mattina, con la classica conclusione dei fuochi d’artificio.
www.youtube.com/watch?v=5IpuAtCogyA&list=PL9DD76BEE97... ('Ncontru di Pasqua - 5 Aprile 2010)
Quella pietra particolare dell’inizio del video non ha un nome preciso ma è diventata il simbolo del paese per la sua particolare bellezza, anche del paesaggio in cui si staglia.
La grande valle nello sfondo comprende diverse contrade, ma noi la intendiamo coma “lavanchi” o “mancusi”, dove per lavanchi si intende valanghe, per i terreni molto scoscesi anche se fertili, e per mancusi si intende che tutta la vallata è esposta a nord, non “‘nfacci suli”, cioè non esposta a sud.
Il costolone roccioso che si eleva in alto a destra della cattedrale (a sinistra per chi guarda), lo intendiamo come “lu casteddu vecchiu”, cioè il castello vecchio, poiché vi si trovano resti di mura antichissime.
A sinistra della cattedrale (per noi matrici) si trovavano resti di basi di casa scavate nella roccia, che alcuni fanno risalire al medioevo, altri a periodi più antichi, per i quali potrebbe essere il sito della mitica kamico, la città del re Kokalos, dove si sarebbe rifugiato Dedalo dopo essere fuggito da Creta.
Infine, al termine del vero, inquadri il caratteristico “pizzu”, che i caltabellottesi intendiamo più come “lu casteddu”, infatti si può ammirare ancora la torre diroccata con il bel portale d’ingresso.
Non so se tu l’hai già fatto, ma si può salire anche in cima al pizzo, da dove si può ammirare un paesaggio mozza fiato a 360 gradi, dal quale, con giornate particolarmente terse, si vede persino l’Etna.
La chiesetta in basso rispetto al pizzo è la chiesa (sconsacrata) del Salvatore, col bellissimo portale del ‘400, che avrai sicuramente ammirato e fotografato.
Ma voglio concludere con una piccola chicca che ti incuriosirà sicuramente: nel punto preciso da cui hai fatto la ripresa si affacciavano, fino a una settantina di anni fa, le vecchie madri, le mogli, le sorelle e le congiunte varie, di persone scomparse (in guerra o per altre deducibili cause), che tardavano a ritornare o non tornavano più per sempre. Queste donne, ammantate nei loro vestiti a lutto, gridavano rivolte verso la valle, chiamando il loro congiunto e chiedendogli se e quando tornava. A volte tornavano a casa rincuorate per aver sentito una voce lontana che le prometteva il ritorno. Voci che, ovviamente, provenivano da qualche contadino, che dalla grande vallata sottostante le illudeva di qualche speranza. Un gioco che le stesse richiedenti accettavano, quando erano più smaliziate; ma la maggior parte si illudevano davvero che a rispondere fosse la voce dello scomparso. Tutto questo veniva inteso come “li segni di Santa Marta”.
Un rituale, comunque, di grande suggestione e di grande drammaticità, suggestionava anche i più scettici, come me.
Dico questo perché ho provato davvero una grande emozione quando, per la prima volta, una trentina di anni fa, mi è capitato di vedere uno straordinario documentario sul tema, fatto dal grande Sergio Zavoli, credo verso la fine degli anni cinquanta.
Se cerchi su “Rai Storia” può darsi che lo trovi, più volte mi è capitato di vederlo su quel canale, e ogni volta è stata una grande emozione. "
Avevo già visto il servizio di Zavoli e lo trovai davvero emozionante.
Oggi purtroppo il servizio non è più in rete ma ho trovato questo video:
"Cantu pi tìa, uno dei brani di Disìu, testo e musica di Ezio Noto. Il dialetto siciliano, caltabellottese incontra le musiche del mondo. Le immagini scelte sono dell'archivio Rai, e sono state realizzate a Caltabellotta nei primi anni sessanta, un servizio di Sergio Zavoli "Li Signi di Santa Marta". Le donne che gridano, invocano, interrogano dalla rupe Gogala di Caltabellotta e chiedono notizie che loro interpretano, traducono attraverso segni, rumori. Vogliono sapere dei loro cari, emigrati, partiti per cercare pane, lavoro o per la guerra e mai più tornati. Cantano per loro."
www.youtube.com/watch?v=H_9aKUHnJMg&fbclid=IwAR2gW19z...
Caltabellotta: “u chianu di la matrici “ a 360°
Ii mio primo video commentato da Totò RIZZUTI:
Praticamente ti trovi in Piazzale Ruggero Lauria per tutti i caltabellottesi: “chianu di la matrici “ da sempre.
In questo ampio spazio si svolge, da sempre, “lu ‘ncontru “ cioè l’incontro, tra la madonna e il crocifisso per la “festa di la madonna”, che un tempo si svolgeva a fine maggio e che da una ventina d’anni si svolge a fine luglio per permettere la partecipazione degli emigranti che tornano per le vacanze;
video.sky.it/news/cronaca/caltabellotta-il-rito-per-la-ma... (Caltabellotta, il rito per la Madonna dei miracoli - 31 luglio 2019)
e a Pasqua, tra la madonna, il cristo risorto e L’arcangelo Michele, che fanno ballare come un invasato per la gioia che cristo è risorto e per essere lui il mediatore dell’incontro. Dopo detto incontro avviene la processione lungo tutto il paese, che si svolge dalla sera fino a quasi l’indomani mattina, con la classica conclusione dei fuochi d’artificio.
www.youtube.com/watch?v=5IpuAtCogyA&list=PL9DD76BEE97... ('Ncontru di Pasqua - 5 Aprile 2010)
Quella pietra particolare dell’inizio del video non ha un nome preciso ma è diventata il simbolo del paese per la sua particolare bellezza, anche del paesaggio in cui si staglia.
La grande valle nello sfondo comprende diverse contrade, ma noi la intendiamo coma “lavanchi” o “mancusi”, dove per lavanchi si intende valanghe, per i terreni molto scoscesi anche se fertili, e per mancusi si intende che tutta la vallata è esposta a nord, non “‘nfacci suli”, cioè non esposta a sud.
Il costolone roccioso che si eleva in alto a destra della cattedrale (a sinistra per chi guarda), lo intendiamo come “lu casteddu vecchiu”, cioè il castello vecchio, poiché vi si trovano resti di mura antichissime.
A sinistra della cattedrale (per noi matrici) si trovavano resti di basi di casa scavate nella roccia, che alcuni fanno risalire al medioevo, altri a periodi più antichi, per i quali potrebbe essere il sito della mitica kamico, la città del re Kokalos, dove si sarebbe rifugiato Dedalo dopo essere fuggito da Creta.
Infine, al termine del vero, inquadri il caratteristico “pizzu”, che i caltabellottesi intendiamo più come “lu casteddu”, infatti si può ammirare ancora la torre diroccata con il bel portale d’ingresso.
Non so se tu l’hai già fatto, ma si può salire anche in cima al pizzo, da dove si può ammirare un paesaggio mozza fiato a 360 gradi, dal quale, con giornate particolarmente terse, si vede persino l’Etna.
La chiesetta in basso rispetto al pizzo è la chiesa (sconsacrata) del Salvatore, col bellissimo portale del ‘400, che avrai sicuramente ammirato e fotografato.
Ma voglio concludere con una piccola chicca che ti incuriosirà sicuramente: nel punto preciso da cui hai fatto la ripresa si affacciavano, fino a una settantina di anni fa, le vecchie madri, le mogli, le sorelle e le congiunte varie, di persone scomparse (in guerra o per altre deducibili cause), che tardavano a ritornare o non tornavano più per sempre. Queste donne, ammantate nei loro vestiti a lutto, gridavano rivolte verso la valle, chiamando il loro congiunto e chiedendogli se e quando tornava. A volte tornavano a casa rincuorate per aver sentito una voce lontana che le prometteva il ritorno. Voci che, ovviamente, provenivano da qualche contadino, che dalla grande vallata sottostante le illudeva di qualche speranza. Un gioco che le stesse richiedenti accettavano, quando erano più smaliziate; ma la maggior parte si illudevano davvero che a rispondere fosse la voce dello scomparso. Tutto questo veniva inteso come “li segni di Santa Marta”.
Un rituale, comunque, di grande suggestione e di grande drammaticità, suggestionava anche i più scettici, come me.
Dico questo perché ho provato davvero una grande emozione quando, per la prima volta, una trentina di anni fa, mi è capitato di vedere uno straordinario documentario sul tema, fatto dal grande Sergio Zavoli, credo verso la fine degli anni cinquanta.
Se cerchi su “Rai Storia” può darsi che lo trovi, più volte mi è capitato di vederlo su quel canale, e ogni volta è stata una grande emozione. "
Avevo già visto il servizio di Zavoli e lo trovai davvero emozionante.
Oggi purtroppo il servizio non è più in rete ma ho trovato questo video:
"Cantu pi tìa, uno dei brani di Disìu, testo e musica di Ezio Noto. Il dialetto siciliano, caltabellottese incontra le musiche del mondo. Le immagini scelte sono dell'archivio Rai, e sono state realizzate a Caltabellotta nei primi anni sessanta, un servizio di Sergio Zavoli "Li Signi di Santa Marta". Le donne che gridano, invocano, interrogano dalla rupe Gogala di Caltabellotta e chiedono notizie che loro interpretano, traducono attraverso segni, rumori. Vogliono sapere dei loro cari, emigrati, partiti per cercare pane, lavoro o per la guerra e mai più tornati. Cantano per loro."
www.youtube.com/watch?v=H_9aKUHnJMg&fbclid=IwAR2gW19z...