Marco Battistutta
White Out (blogger contest 2017 - secondo classificato)
“E se tornassimo indietro?”
“No”
Salendo verso la cima, il vento era sempre più intenso e la nebbia si intarsiava su capelli e ciglia, nella barba. La galaverna si ispessiva sugli occhiali, ingioiellando ogni superficie di spilli bianchi.
Arrivati sulla dorsale, la percorremmo verso destra fino alla sommità. Nella nebbia, ogni cima ha una valenza puramente orografica: qui finisce la salita, nel nulla.
Nicola, già arrivato avanti a me, era pronto a scendere e a recuperare Giulia poco più in basso. Mi feci scattare una foto per ricordare questa inverosimile calabrosa e, cercando di fare in fretta, mi rimisi gli sci. Iniziai la discesa con alcune curve, per poi fermarmi e chiedermi dove stessi andando e dove fossero gli altri. Il pendio non era familiare, in basso si aprivano solchi di roccia verticale e svanivano nell’invisibile, sopra la mia testa sporgevano cornicioni di neve minacciosi, testimonianza del severo impegno della Bora. Sentii gli altri che mi chiamavano dall’alto; urlai loro di aspettarmi, ma le mie parole venivano ricacciate indietro dal vento ed a poco a poco non sentii più le loro voci.
Calcolai che mi ci sarebbero voluti quindici minuti per risalire lassù: ero sul versante sbagliato ma non capivo come ci fossi arrivato. Tolsi gli sci e risalii faticosamente, fino a trovarmi in un punto nel quale si vedevano buchi di scarponi nella neve: un punto di sosta (mia o degli altri?), ma nessuna altra traccia di sci che rivelasse un verso, su questo pendio dove il vento aveva obliterato ogni segno.
E fu così che persi la bussola. Immerso nel bianco dove ogni punto è uguale, dove i contorni sono ombre e senza capire dove avessi sbagliato strada, rimasi inchiodato in quel punto, ogni riferimento scardinato dalla Bora, come se che il mondo finisse a due passi in ogni direzione.
Azimut, zenit e orizzonte si fanno fragili, persino il sopra e il sotto perdono consistenza. In quel momento, disorientato e con gli occhiali pieni di brina, mi venne in mente Mario. Ognuno, come può, si affanna a scalare la propria vita per salire. Lui aveva raggiunto la sua cima, 66 anni, pensione, si apprestava a scivolare giù dolcemente. Ma agli ultimi passi si è alzata la nebbia, quella bianca oscurità che ha cancellato la sua memoria, e nella tempesta si sono sgangherati il passato e il futuro dalla sua mente. Non aveva più ricordo dei faticosi passi che aveva fatto per arrivare fino lì nella vita, erosi dal Blizzard che aveva inghiottito ormai anche il suo nome. Mario era bloccato in un presente sconnesso e circolare, in un punto nel quale la calabrosa lo stava coprendo di spilli e trasformando in una statua bianca.
Cercai di capire meglio dove andare, ed iniziai senza vera cognizione a scendere in direzione opposta. Ancora uno scolatoio di roccia che mi costrinse a risalire, e quando ormai fui quasi convinto ad attendere presso il mio unico punto di riferimento (i buchi di scarpone), vidi dei ricorrenti forellini sulla neve. Erano le tracce dei coltelli da sci che avevamo inciso in salita. All’improvviso si sciolse l’apprensione ed iniziai a scendere quasi col naso a terra per seguire quei preziosi segni che per vallette e canali mi riportarono sotto la nube e fuori dal disorientamento, fino al parcheggio dove gli altri mi aspettavano preoccupati, già da molto tempo.
“Peccato, non siamo riusciti a farci una foto assieme, con la brina in faccia”
“Già, non assieme” pensai io seduto sul sedile dietro, guardando la mia immagine scattata sulla reflex: un volto inespressivo, solitario, bianchi diademi su ciglia e capelli, un attimo prima di essermi perso.
Partecipante al blogger contest 2017 di altitudini.
II Classificato
White Out (blogger contest 2017 - secondo classificato)
“E se tornassimo indietro?”
“No”
Salendo verso la cima, il vento era sempre più intenso e la nebbia si intarsiava su capelli e ciglia, nella barba. La galaverna si ispessiva sugli occhiali, ingioiellando ogni superficie di spilli bianchi.
Arrivati sulla dorsale, la percorremmo verso destra fino alla sommità. Nella nebbia, ogni cima ha una valenza puramente orografica: qui finisce la salita, nel nulla.
Nicola, già arrivato avanti a me, era pronto a scendere e a recuperare Giulia poco più in basso. Mi feci scattare una foto per ricordare questa inverosimile calabrosa e, cercando di fare in fretta, mi rimisi gli sci. Iniziai la discesa con alcune curve, per poi fermarmi e chiedermi dove stessi andando e dove fossero gli altri. Il pendio non era familiare, in basso si aprivano solchi di roccia verticale e svanivano nell’invisibile, sopra la mia testa sporgevano cornicioni di neve minacciosi, testimonianza del severo impegno della Bora. Sentii gli altri che mi chiamavano dall’alto; urlai loro di aspettarmi, ma le mie parole venivano ricacciate indietro dal vento ed a poco a poco non sentii più le loro voci.
Calcolai che mi ci sarebbero voluti quindici minuti per risalire lassù: ero sul versante sbagliato ma non capivo come ci fossi arrivato. Tolsi gli sci e risalii faticosamente, fino a trovarmi in un punto nel quale si vedevano buchi di scarponi nella neve: un punto di sosta (mia o degli altri?), ma nessuna altra traccia di sci che rivelasse un verso, su questo pendio dove il vento aveva obliterato ogni segno.
E fu così che persi la bussola. Immerso nel bianco dove ogni punto è uguale, dove i contorni sono ombre e senza capire dove avessi sbagliato strada, rimasi inchiodato in quel punto, ogni riferimento scardinato dalla Bora, come se che il mondo finisse a due passi in ogni direzione.
Azimut, zenit e orizzonte si fanno fragili, persino il sopra e il sotto perdono consistenza. In quel momento, disorientato e con gli occhiali pieni di brina, mi venne in mente Mario. Ognuno, come può, si affanna a scalare la propria vita per salire. Lui aveva raggiunto la sua cima, 66 anni, pensione, si apprestava a scivolare giù dolcemente. Ma agli ultimi passi si è alzata la nebbia, quella bianca oscurità che ha cancellato la sua memoria, e nella tempesta si sono sgangherati il passato e il futuro dalla sua mente. Non aveva più ricordo dei faticosi passi che aveva fatto per arrivare fino lì nella vita, erosi dal Blizzard che aveva inghiottito ormai anche il suo nome. Mario era bloccato in un presente sconnesso e circolare, in un punto nel quale la calabrosa lo stava coprendo di spilli e trasformando in una statua bianca.
Cercai di capire meglio dove andare, ed iniziai senza vera cognizione a scendere in direzione opposta. Ancora uno scolatoio di roccia che mi costrinse a risalire, e quando ormai fui quasi convinto ad attendere presso il mio unico punto di riferimento (i buchi di scarpone), vidi dei ricorrenti forellini sulla neve. Erano le tracce dei coltelli da sci che avevamo inciso in salita. All’improvviso si sciolse l’apprensione ed iniziai a scendere quasi col naso a terra per seguire quei preziosi segni che per vallette e canali mi riportarono sotto la nube e fuori dal disorientamento, fino al parcheggio dove gli altri mi aspettavano preoccupati, già da molto tempo.
“Peccato, non siamo riusciti a farci una foto assieme, con la brina in faccia”
“Già, non assieme” pensai io seduto sul sedile dietro, guardando la mia immagine scattata sulla reflex: un volto inespressivo, solitario, bianchi diademi su ciglia e capelli, un attimo prima di essermi perso.
Partecipante al blogger contest 2017 di altitudini.
II Classificato