PIETROD'AMBROSIO82
5
Nebbia.
di Clara D’Ambrosio
Le tegole rossicce erano ancora umide e le foglie ormai morte, cadute dagli alberi spogli e neri come corvi, quando lentamente, come una donna eterea e leggiadra, scese una densa coltre di nebbia. Si posò su tutto e tutti con il suo umido e freddo velo.
Ogni cosa ne era pregna. Il vecchio ed imponente albero, che volgeva greve i suoi rami verso il cielo, quasi a voler accogliere quella dea così misteriosa eppur prorompente come valchiria, così come i volti dei passanti. Parevano rassegnati e nostalgici di fronte l’incombente destino, e qualcuno, affidandosi ad un vecchio e logoro ombrello, osava sfidare quella strana coltre con passo lento e contemplativo.
Ecco poi, spuntar da quella eterea nuvola, un cane, che approfittando di quel silenzio spettrale volle incontrare quella misteriosa donna che lo accolse cospargendo il suo manto di gocce cristalline.
La sera venne a tenderle la mano come uno sposo incontro alla sua amata e il nero più profondo si unì al bianco candido della nebbia. Come in un gioco di seduzione, tutto era tinto di quei due colori così distanti eppur così simili, il bianco e il nero.
L’incantesimo svanì quando, come un padre severo, quell’austero campanile tuonò con prepotenza l’ora dell’addio. La dea raccolse il suo manto, volse uno sguardo a quel tempio sacro così imponente e solitario e se ne andò, leggiadra e in silenzio, come cerva decisa, poiché certa del suo ritorno.
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Nebbia.
di Clara D’Ambrosio
Le tegole rossicce erano ancora umide e le foglie ormai morte, cadute dagli alberi spogli e neri come corvi, quando lentamente, come una donna eterea e leggiadra, scese una densa coltre di nebbia. Si posò su tutto e tutti con il suo umido e freddo velo.
Ogni cosa ne era pregna. Il vecchio ed imponente albero, che volgeva greve i suoi rami verso il cielo, quasi a voler accogliere quella dea così misteriosa eppur prorompente come valchiria, così come i volti dei passanti. Parevano rassegnati e nostalgici di fronte l’incombente destino, e qualcuno, affidandosi ad un vecchio e logoro ombrello, osava sfidare quella strana coltre con passo lento e contemplativo.
Ecco poi, spuntar da quella eterea nuvola, un cane, che approfittando di quel silenzio spettrale volle incontrare quella misteriosa donna che lo accolse cospargendo il suo manto di gocce cristalline.
La sera venne a tenderle la mano come uno sposo incontro alla sua amata e il nero più profondo si unì al bianco candido della nebbia. Come in un gioco di seduzione, tutto era tinto di quei due colori così distanti eppur così simili, il bianco e il nero.
L’incantesimo svanì quando, come un padre severo, quell’austero campanile tuonò con prepotenza l’ora dell’addio. La dea raccolse il suo manto, volse uno sguardo a quel tempio sacro così imponente e solitario e se ne andò, leggiadra e in silenzio, come cerva decisa, poiché certa del suo ritorno.