IO,Marina.
Al Centro del Mediterraneo....Carmelo Candiano. Lavoro in alluminio, ferro laminato, smalti,plastica. 2014
Quando ho visto questo lavoro sono rimasta incantata a guardarlo. Ecco, questa è la Sicilia. E non credo siano necessarie parole per commentarne la ricchezza di significati.
Mi è venuto però un gran desiderio di parlarvi della mia isola, per chi vorrà leggermi e seguirmi in un percorso tra foto mie e lavori di artisti siciliani.
La leggenda di Colapesce narra che il giovane pescatore, sfidato dal re ad immergersi nel mare, non avrebbe fatto ritorno. Si era accorto infatti che l’isola, retta da tre colonne, era ormai pericolante visto che una delle tre stava per spezzarsi.
Si sacrificò e rimase nei fondali marini a reggere l’isola.
Dunque una leggenda legata al mare ma anche alla fragilità dell’isola. E fragile è anche la terra sicula con la minaccia dell’ Etna che di tempo in tempo fa sentire il rombo della sua presenza, quasi a dire, io ci sono, sempre.
Un’isola sempre sul punto di cedere, minacciosa e misteriosa, contraddittoria e sfaccettata, in sostanza mai perfettamente conoscibile.
Di miele e di fiele. Dolce come i frutti maturi dei fichi, intensa come il profumo dei gelsomini, aspra come i limoni, dolce-amara come i chicchi vermigli del melograno.
Sicilia che diventa identità, marchio, una traccia precisa nel DNA di ciascuno di noi. La beviamo alla nascita con il latte materno che filtra antiche tradizioni, racconti, miti e leggende, fatica e dolore, sole ardente e mare da amare.
Isola contrastata e frastagliata, circondata dal mare ma ricca di terra crepata dalla calura.
Siamo tutti siciliani ma una manciata di chilometri può fare la differenza.
Città, piccoli borghi marinari, campagne coltivate ad agrumi o estesi uliveti che si perdono alla vista. E qui sempre si potrà scorgere un anziano contadino che si ostina con la schiena ricurva a zappare la sua terra, quella che figli e nipoti hanno da tempo abbandonato.
Abbandono, questa è forse la parola-chiave.
L’abbandono di chi ha lasciato la sua terra per trovare fuori fortuna, l’abbandono dei mestieri antichi, l’abbandono delle campagne verso le città, scintillanti di miserie e lusso, di corruzione e modernità, l’abbandono di patrimoni artistici che giacciono sepolti sotto l’incuria delle amministrazioni.
Isola di isolani fieri e sconfitti. Emigranti di ieri e di oggi. Ieri con la valigia di cartone, oggi con la laurea in tasca.
Forse bisogna entrare “dentro” la Sicilia per comprenderla, lentamente vagando tra vicoli ombreggiati da case antiche.
Persiane appena socchiuse con il baluginìo di occhi curiosi che spiano il passo dello straniero.
Porte che si aprono sulla strada con dentro il buio di chi conosce la fatica.
Facce silenti di diffidenti sguardi che scivolano addosso e pesano e sanno e giudicano.
Loro annusano chi non è fatto della loro pasta e si chiudono a riccio, stringendosi addosso immaginari scialli neri, eredità antica di nonne incorniciate in seppia.
Uomini ormai senza età, inerti su sedie sgangherate a guardare la vita che scorre. Altri ancora in attività. Invisibili, immobili nella loro antica dignità, orgogliosi del loro essere, titani in una terra di titani e nani. Loro, dominano il mare e spremono alla terra frutti di sangue e miele.
Acqua e sale, acqua e terra. Acqua preziosa da raccogliere e conservare come bene primario nelle lunghe giornate estive di calure soffocanti.
La Sicilia del sole e del mare, dei paesi aggrappati come capre alle montagne brulle, delle barche colorate e delle ceste di arance. Della nobiltà decaduta e della nuova nobiltà che chiude gli occhi sprezzante sui cumuli di immondizia e sulle miserie dei quartieri degradati. Loro sono abituati a ben altri profumi, quello dei soldi, dei circoli, dei teatri , delle tappezzerie delle macchine rombanti che sorpassano il carretto che arranca sulla strada polverosa senza vederlo.
Nulla sembra cambiare mai.
I Malavoglia esistono ancora e i Gattopardi ormai ridotti a poveri gatti pulciosi dal pelo arruffato…sono qui nascosti dietro pesanti tendaggi ricettacolo di polveri decennali.
Al Centro del Mediterraneo....Carmelo Candiano. Lavoro in alluminio, ferro laminato, smalti,plastica. 2014
Quando ho visto questo lavoro sono rimasta incantata a guardarlo. Ecco, questa è la Sicilia. E non credo siano necessarie parole per commentarne la ricchezza di significati.
Mi è venuto però un gran desiderio di parlarvi della mia isola, per chi vorrà leggermi e seguirmi in un percorso tra foto mie e lavori di artisti siciliani.
La leggenda di Colapesce narra che il giovane pescatore, sfidato dal re ad immergersi nel mare, non avrebbe fatto ritorno. Si era accorto infatti che l’isola, retta da tre colonne, era ormai pericolante visto che una delle tre stava per spezzarsi.
Si sacrificò e rimase nei fondali marini a reggere l’isola.
Dunque una leggenda legata al mare ma anche alla fragilità dell’isola. E fragile è anche la terra sicula con la minaccia dell’ Etna che di tempo in tempo fa sentire il rombo della sua presenza, quasi a dire, io ci sono, sempre.
Un’isola sempre sul punto di cedere, minacciosa e misteriosa, contraddittoria e sfaccettata, in sostanza mai perfettamente conoscibile.
Di miele e di fiele. Dolce come i frutti maturi dei fichi, intensa come il profumo dei gelsomini, aspra come i limoni, dolce-amara come i chicchi vermigli del melograno.
Sicilia che diventa identità, marchio, una traccia precisa nel DNA di ciascuno di noi. La beviamo alla nascita con il latte materno che filtra antiche tradizioni, racconti, miti e leggende, fatica e dolore, sole ardente e mare da amare.
Isola contrastata e frastagliata, circondata dal mare ma ricca di terra crepata dalla calura.
Siamo tutti siciliani ma una manciata di chilometri può fare la differenza.
Città, piccoli borghi marinari, campagne coltivate ad agrumi o estesi uliveti che si perdono alla vista. E qui sempre si potrà scorgere un anziano contadino che si ostina con la schiena ricurva a zappare la sua terra, quella che figli e nipoti hanno da tempo abbandonato.
Abbandono, questa è forse la parola-chiave.
L’abbandono di chi ha lasciato la sua terra per trovare fuori fortuna, l’abbandono dei mestieri antichi, l’abbandono delle campagne verso le città, scintillanti di miserie e lusso, di corruzione e modernità, l’abbandono di patrimoni artistici che giacciono sepolti sotto l’incuria delle amministrazioni.
Isola di isolani fieri e sconfitti. Emigranti di ieri e di oggi. Ieri con la valigia di cartone, oggi con la laurea in tasca.
Forse bisogna entrare “dentro” la Sicilia per comprenderla, lentamente vagando tra vicoli ombreggiati da case antiche.
Persiane appena socchiuse con il baluginìo di occhi curiosi che spiano il passo dello straniero.
Porte che si aprono sulla strada con dentro il buio di chi conosce la fatica.
Facce silenti di diffidenti sguardi che scivolano addosso e pesano e sanno e giudicano.
Loro annusano chi non è fatto della loro pasta e si chiudono a riccio, stringendosi addosso immaginari scialli neri, eredità antica di nonne incorniciate in seppia.
Uomini ormai senza età, inerti su sedie sgangherate a guardare la vita che scorre. Altri ancora in attività. Invisibili, immobili nella loro antica dignità, orgogliosi del loro essere, titani in una terra di titani e nani. Loro, dominano il mare e spremono alla terra frutti di sangue e miele.
Acqua e sale, acqua e terra. Acqua preziosa da raccogliere e conservare come bene primario nelle lunghe giornate estive di calure soffocanti.
La Sicilia del sole e del mare, dei paesi aggrappati come capre alle montagne brulle, delle barche colorate e delle ceste di arance. Della nobiltà decaduta e della nuova nobiltà che chiude gli occhi sprezzante sui cumuli di immondizia e sulle miserie dei quartieri degradati. Loro sono abituati a ben altri profumi, quello dei soldi, dei circoli, dei teatri , delle tappezzerie delle macchine rombanti che sorpassano il carretto che arranca sulla strada polverosa senza vederlo.
Nulla sembra cambiare mai.
I Malavoglia esistono ancora e i Gattopardi ormai ridotti a poveri gatti pulciosi dal pelo arruffato…sono qui nascosti dietro pesanti tendaggi ricettacolo di polveri decennali.