Ho fatto delle foto. Ho fotografato invece di parlare. Ho fotografato per non dimenticare. Per non smettere di guardare.

 

Daniel Pennac

 

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Lettera al Genio della Lampada.

 

Caro Genio,

 

ho trovato finalmente il coraggio di scriverti per scusarmi per quello che è successo e soprattutto per spiegartene, se possibile, le ragioni.

 

Per questo, vorrei poterti raccontare delle mille volte in cui ho accarezzato il sogno di vederti apparire, all’improvviso, pronto ad esaudire i miei desideri.

 

In quei momenti, in cui sembrava che il mondo intero fosse contro di me, mi pareva quasi di sentirlo il tuo odore di incenso e spezie profumate e allora, lentamente, la rabbia e la tristezza cedevano il posto ad un senso di sollievo caldo e avvolgente.

 

Mille volte, Genio, sono tante, ed è per questo che quando ho intravisto tra la sabbia, sotto la duna grande, la sagoma inconfondibile della lampada, il suo brilluccichio si è confuso con quello dei miei occhi increduli e le mie mani hanno cominciato a tremare, ed è per questo che poi, alla fine, è successo quello che è successo.

 

Credo tu possa immaginare con quanta foga ho sfregato la lampada col terrore che tutto potesse improvvisamente sparire e magari mi hai visto indietreggiare e cadere mentre tu, avvolto in rivoli di fumo azzurro, cominciavi a prender forma davanti a me.

 

Genio, consentimi di dirtelo, eri strepitoso con le tue braccia scure e possenti e i pantaloni di velo giallo e le scarpe a punta. Bellissimo e perfetto, sul serio, e mi sarebbe piaciuto gettarti le braccia al collo e coprirti di baci, però poi mi sono frenata perché TU ERI IL GENIO DELLA LAMPADA, ed io solo.. beh, solo una come tante.. ma ero stata proprio io a trovarti e sentivo pungermi la testa per l’ansia e l’emozione ed avevo il cuore in gola e le gambe molli e allora ho cercato di farmi forza e di concentrarmi sui desideri.

 

Più alta, no, più bella, e i soldi? no, i miei genitori e, aspetta, dunque, la casa e la guerra e i bambini poveri.. mio Dio, calma, ti prego, calma.

Insomma, per quasi trent’anni, i tre desideri mi sono rimbalzati nella mente come lingue di fuoco che rischiaravano le mie notti sonnambule e buie, eppure…

 

Genio non ce l’ho fatta. Scusami, davvero. Perdonami se puoi, perdonami se ti ho voltato le spalle e sono scappata.

 

Non credere che sia colpa tua, e voglio che tu lo sappia, lo so che una cosa simile non ti era mai capitata e credo che non dimenticherò mai il tuo sguardo smarrito nel vedermi fuggire a gambe levate, inciampare nella sabbia e girarmi a guardarti un’ultima volta dall’alto della duna.

 

Sembravi tutt’a un tratto così piccolo laggiù, che quando ho cominciato a scendere dall’altro lato, verso il mare, è stato facile credere, per un attimo, di non averti mai incontrato.

 

Ma so che era tutto reale e so che fin quando non avrò espresso i tre desideri tu rimarrai legato a me e questa cosa non aiuterà nessuno dei due ed è anche per questo che ti scrivo, per dirti che ci ho pensato e che sono pronta a dirteli, ora, i miei tre desideri.

 

Le regole sono chiare, quelle me le hai dette subito, non far morire né resuscitare né indurre alcuno ad amare.

 

E dunque io ci ho pensato e non c’è nulla che vorrei di più che veder morire la barbarie e resuscitare chi per essa giace ed essere amata ora e sempre così che non ci siano mai più notti buie di stelle e lacrime.

 

Il resto è solo sabbia nella clessidra del tempo, ed è per questo, Genio, che ora desidero:

 

uno – che tu faccia sparire per un po’ quelle scarpe a punta e quei vestiti di velo ed indossi dei jeans ed una maglietta

 

due – che tu ti trasferisca in un posto un po’ più comodo, che proprio non ce la faccio a pensarti ancora costretto in quell’angusta lampada

 

tre – che tu te ne vada in giro per il mondo a cercare di esaudire, per una volta, i tuoi di desideri.

 

Ad maiora, Genio.

 

Tua.

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