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Non ricordo come sia nato il mio interesse per la fotografia.

Dietro esso non c'è nessuna storia romantica o avvincente da raccontare, del tipo: "Sono nata con un talento naturale" o "E' stato amore a prima vista"; semplicemente, presi la macchinetta fotografica - allora era una semplice compatta - e, guardandomi attorno, immortalai ogni singolo attimo, ogni secondo. A ogni scatto ne seguiva un altro, finchè quello strumento non divenne un prolungamento della mia mano, da cui mi staccavo difficilmente.

Notavo come, nelle fotografie, il mondo sembrasse più mistico, più bello; anche il soggetto più irrilevante assumeva quella preziosità comparabile con un gioiello brillante.

Nel momento in cui sollevavo il mio sguardo dalle foto e osservavo il soggetto dei miei scatti, comprendevo una cosa: i miei sensi umani non catturavano la bellezza, i dettagli, come avrebbe fatto semplicemente un obiettivo.

Per questo motivo mi distaccai dalla macchina fotografica, lentamente, fino a smettere totalmente di catturare i secondi della mia vita.

Me ne pento ancora della mia decisione. Un mio professore disse: "La fotografia cattura istanti, attimi che non potranno mai più tornare" e così è stato: per il disprezzo della limitatezza dell'occhio umano nel non notare anche i più piccoli dettagli, persi tempo prezioso.