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I'm 18, I live in Milan, Italy, I love photography, music, travels and friendship
“oggi più che mai vivere significa viaggiare; la condizione spirituale dell’uomo come viaggiatore, di cui parla la teologia, è anche una situazione concreta per masse sempre più vaste di persone. Sempre più incerto, nelle vertiginose trasformazioni del vivere, appare il ritorno – materiale e sentimentale- a se stessi; l’Ulisse odierno non assomiglia a quello omerico o joyciano, che alla fine ritorna a casa, bensì piuttosto a quello dantesco che si perde nell’illimitato”.
“il bambino che amerà viaggiare comincia a sei anni a guardare i mappamondi e le carte geografiche. Inginocchiato nella sua stanza, indifferente a qualsiasi richiamo della madre e del padre, segna col dito la strada lunghissima che lo separa per mare e per terra da Milano a Pechino, da mosca a città del capo, lungo gli andirivieni dei continenti e l’azzurro scuro e chiaro degli oceani. Sfoglia le carte: si innamora del nome di Bogotà o di Valparaiso, immagina di volare foreste tropicali e deserti, di scalare l’Everest e il Kilimangiaro, come gli eroi dei suoi libri d’avventura. Così l’infinito del mondo diventa familiare e a portata di mano…il ragazzo impara che, quando viaggiamo, compiamo sempre due viaggi. Nel primo, il più fantastico, egli legge la guida dell’Austria o della Svezia o dell’Irlanda: città, fiumi, pianure,foreste,opere d’arte, notizie storiche ed economiche. E studia il viaggio futuro. Nulla è più divertente che progettarlo: perché il ragazzo muta gli itinerari della guida, stabilisce nuovi rapporti, insegue luoghi sconosciuti, giunge in Austria dalla Baviera o dalla Boemia, evita città o regioni che non ama, stabilisce la durata dei percorsi, distingue mattine, pomeriggi e sere. Le ore sono piene di cose: in una piazza di Kuala Lumpur si fermerà, chissà perché, quattro ore. Il tempo viene governato da una gioiosa pedanteria. Quando i8nizia il viaggio, il ragazzo si accorge che la realtà non ha nulla o poco da fare con i suoi progetti fantastici. Il paese che immaginava giallo è verde: quello che pensava rosso è celeste. I due viaggi, quello fantastico e quello reale, quello delle guide e quello del mondo, ora si accordano, ora si combattono”.
“ero a Volgorad…ero a Benares…ero a Ketchum…ero a Jàsnaja Poljana…ero a colonia…ero sull’Ortigiara…tutti gli spostamenti fisici, se l’intelligenza vuole e il cuore lo concede, possono assomigliare a splendidi incroci magnetici. Attraversare lo spazio eccita il tempo. Sarà per questo che, quando parto, cerco sempre di trovare, innanzitutto, le ragioni del ritorno? Non erano così i viaggi del novecento! Molti di quelli che li compivano avrebbero voluto smarrirvi in un altrove fantastico capace di garantire, a poco prezzo e senza troppi disagi, chissà quali clamorose scoperte e fulgide ebbrezze…in classe abbiamo una bella carta geografica. Molti ragazzi, slavi, arabi, africani e asiatici, possono considerarsi esperti viaggiatori. Hanno mangiato la polvere dei deserti, il catrame delle strade. Conoscono la vernice scrostata delle sbarre doganali, i sonni persi con la testa appoggiata sui finestrini dell’autobus, i documenti stropicciati tra le mani… adesso sono loro a spiegarmi, con pazienza e lungimiranza, lasciando scorrere il dito sulla mappa, le scalcinate periferie di Addis Abeba, la foresta pluviale poco distante da Lagos, i mercati galleggianti di Dacca, gli empori di Herat, le feste di Rabat, gli scantinati di Bucarest. Ed io compio davvero insieme a loro, senza pagare il biglietto, il giro del mondo”.
“si vorrebbe sempre essere: essere stati, mai. E ci ripugna di non poter vivere contemporaneamente in due luoghi, quando l’uno e l’altro vivono nel nostro pensiero, anzi nel nostro sistema nervoso: nel nostro corpo…possiamo infatti metterci in viaggio. Ma mentre la meta si avvicina e diventa reale, il luogo di partenza si allontana e sostituisce la meta nell’irrealtà dei ricordi; guadagniamo una, e perdiamo l’altro. La lontananza è in noi, vera condizione umana…laggiù si sognava la patria, come dalla patria si sogna l’estero. Ma il primo grande viaggio lascia nei giovani, di qualunque levatura e sensibilità, un dissidio che le abitudini non possono comporre; precisa l’idea degli oceani, dei porti, dei distacchi; crea quasi, nella mente, una nuova forma, una nuova categoria: la categoria della lontananza; la considerazione, ormai, di tutte le terre lontane. È forse un vizio. Chi è stato in Cina vorrebbe provare l’argentina, il Transvaal, l’Alaska. Chi è stato in Messico si commuove anche quando sente parlare dell’india, dell’Australia, della Cina. Questi nomi, una volta al più colorate e melanconiche geografie, sono ora possibili, reali, affascinanti. Chi ha provato la lontananza difficilmente ne perde il gusto. Il primo viaggio, la prima sera che il novo-peregrin è in cammino, nasce la nostalgia, per sempre. Ed è il desiderio di tornare non soltanto in patria; ma dappertutto: dove si è stati e dove non si è stati. Due grandi direzioni si alternano: verso casa, verso fuori… non capisce, forse, non ama il proprio paese l’ha abbandonato almeno una volta, e credendo fosse per sempre”.
“il viaggiatore aveva un pregiudizio favorevole nei confronti di popoli di contrade lontane e cercava di descriverli ai suoi compatrioti; …ora l’uomo moderno è incalzato. Il turista farà, quindi, un’altra scelta: le cose, e non più gli esseri umani, saranno oggetto della sua predilezione: paesaggi, monumenti, rovine…il turista è un visitatore frettoloso…non solo perché l’uomo moderno lo è in generale, ma anche perché la visita fa parte delle sue vacanze e non della sua vita professionale; i suoi spostamenti all’estero sono limitati entro le sue ferie retribuite. La rapidità del viaggio costituisce già una ragione della sua preferenza per l’inanimato rispetto all’animato: la conoscenza dei costumi umani, diceva Chateaubrian, richiede tempo. Ma c’è un’altra ragione per questa scelta: l’assenza di incontri con soggetti differenti, è molto riposante, poiché non mette mai in discussione la nostra identità; è meno pericoloso osservare cammelli che uomini”.
“ che cosa NON è un viaggio? Per poco che si dia un’estensione figurata a questo termine – e non si è mai trattenuti dal farlo- il viaggio coincide con la vita, né più, né meno: essa è forse altra cosa che un passaggio dalla nascita alla morte? Lo spostamento nello spazio è il prim0 segno… il viaggio nello spazio simboleggia il passaggio del tempo, lo spostamento fisico, a sua volta, il cambiamento interiore; tutto è viaggio”.
“in definitiva, che modo di viaggiare è questo? Fare un giro per questa città di Mirando do Douro, questa cattedrale, questo sacrestano, questo cappello a cilindro e questa pecora, dopodichè segnare una croce sulla mappa, rimettersi in marcia e dire, come il barbiere mentre scuote l’asciugamano: “avanti un altro”. Viaggiare dovrebbe essere tutt’altro, fermarsi più a lungo e girare di meno, forse si dovrebbe addirittura istituire la professione del viaggiatore, solo per chi ha tanta vocazione, è di gran lunga in errore chi crede che sarebbe un lavoro di poca responsabilità, ogni chilometro non vale meno di un anno di vita. Alle prese con questo filosofare, il viaggiatore finisce per addormentarsi, e quando al mattino si sveglia, ecco davanti la pietra gialla, è il destino delle pietre, sempre nello stesso posto, a meno che non venga il pittore e se le porti via nel cuore”.
“la felicità, che tutti lo sappiano, ha molte facce. Viaggiare, probabilmente, è una di queste.
Affidi i fiori a chi sappia badarvi, e incominci. O ricominci. Nessun viaggio è definitivo….”.
- JoinedMay 2009
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