Il colore sognante e il ritrattismo fotografico di Giuseppe Sirni

di Sebastiano Lo Iacono

 

In principio fu la parola. Su questo, per così dire, non ci piove. Il linguaggio del colore venne dopo. Vennero dopo il segno e il disegno. Prima ci fu il fiat.

La parola.

Non saprei stabilire, si fa per dire, se prima ci fu il linguaggio della luce e successivamente quello del colore. O viceversa. E’ possibile che il colore preceda la luce? Fisicamente: no. Questo portento assurdo, ovvero paradosso della ragione e della fisica, cioè che il colore sia prima della parola e ancora prima della luce, può avere luogo, come se la luce non ci fosse, nella dimensione creativa di chi intravede i colori quasi prima che la luce sia …

Colori pensati. Colori del pensiero.

I quadri di Giuseppe Sirni danno questa sensazione. Non sono quadri che risiedono nello spazio dell’ombra, dell’oscurità o del chiaroscuro. Suscitano questa speculazione ovvero questa antinomia tra la luce e il colore, perché hanno un furore coloristico coinvolgente … Sicché, se le cose stanno così, suppongo che il cromatismo di Sirni è come un brodo del primordio, dove, ancor prima del tempo fisico e storico, ancor prima del divenire della parola, del logos e della luce, c’è il “piacere del colore”.

…e dunque: in principio fu il piacere del colore. Diremmo anche: la voluttà, l’estasi, l’ebbrezza, la delizia sensoriale e sensuale, il godimento, l’eccitamento e l’eccitazione, nonché il diletto del colore.

…sulle tele di Sirni, che, in questa sede, e senza piaggeria, considero veramente belle e avvenenti, suggestive e attraenti, ordunque, c’è da dire che affascinano per quella densità del colore che le rende quasi come epifanie di un sogno vigile, a occhi aperti…

Sono un miraggio. Sono fatte, direi, di colore sognante. L’ombra non c’è. C’è il fulgore del colore.

Se i sogni fossero a colori, vorrei che avessero i colori di questi quadri. L’occhio che guarda ne ricava una sorta di strano piacere, carico di carnalità. Hanno una sensualità, sessualmente indistinta, ancora prima che addivenisse la separazione dei sessi, che incanta. Lirismo coloristico che piace, che affattura e ammalia.

A questo punto, nella hit-parade dei pittori mistrettesi, dopo Mario Biffarella (la cui tecnica resta insuperabile) e prima di Enzo Salanitro, il cui barocchismo è ricco di altri stilemi ineguagliabili e originali, i quali restano, comunque, entrambi due "maestri" di Sirni, collocherei Giuseppe per la sua singolare originalità del colore.

Un colore diffuso, quasi dissolventesi, a volte non netto e preciso, le cui delimitazioni sono a dissolvenza …; altre volte il colore è corposo, carnale, ma sempre sensuale e direi anche erotico. Il colore di Sirni è anche fatto di macchie, appunto, quali quelle di un sogno condensato e umoroso, non inquieto; un sogno di senso, di sesso e amicizia con le figure e le forme dell’umano e del terreno, del divino e del sacro, del maschile e del femminile.

Alcuni quadri, quelli che ripensano le icone ortodosse, hanno umori e sapori che vengono dalla lezione di Magritte, Matisse e Gauguin, e sono condensazioni di quel colore dell’anima che "riempie l'anima" di stimoli surreali, iper-reali e di una specie di realismo magico che suscita meraviglia, stupore, ancora piacere, nonché godimento sensuale.

Il colore di Sirni è estraneo alla tradizione. Conosco suoi quadri, fatti soltanto di linee, chiazze di colore e di significanti geometrie (apparentemente insignificanti), dove la nuance è fatta di lampi. Bagliori e basta.

Altrettanto singolari e provocatorie le installazioni che Sirni ha realizzato, negli anni scorsi, nel cuore del centro storico di Mistretta. Penso alle Bambole kamikaze (che avevano, sullo sfondo, la bandiera degli Stati Uniti, mentre, in alto, aleggiavano gli aerei dell’attentato dell’undici settembre 2001); alla Donna islamica con il velo nero (dai cui piedi scaturiva un flusso carminio di sangue, non solo di tipo mestruale: alludendo così anche, e non soltanto, alla condizione di servitù della donna nei paesi orientali); all’«impacchettamento» della fontana in pietra del quartiere San Pietro (forse relitto del frontone di un antico tempio greco-romano), che richiamò esperimenti più famosi dello stesso genere; penso ai Cadaveri della guerra nel Kossovo; e, infine, al contadino con i pantaloni di velluto Travolto dalla bellezza del centro storico, disposto sotto un cumulo di macerie, pietrame, rottami e detriti. Sembrava, quella figura, la vittima di un crimine siciliano di mafia o di un sisma. Era, invece, un morto-simbolo: il martire, quasi offerto in olocausto, di un delitto di tipo urbanistico-architettonico non meno grave di quelli di stampo criminale.

Quelle installazioni, quasi inserti e protesi di realtà sulla realtà nuda e cruda, la cui valenza trasgressiva ha suscitato veementi polemiche, avevano, e ancora hanno, come Sirni voleva che fosse, un forte aggancio con la storicità contemporanea e con l’impegno civile dello stesso autore.

Sirni, che è nato a Mistretta, in provincia di Messina, dopo gli studi presso l’«Accademia di Belle Arti di Palermo», attualmente vive e lavora a Milano. In questa città della Lombardia, ha cominciato a dedicarsi anche -direi sistematicamente- alla fotografia. Sul web ci sono numerosi, ricchi e documentati siti che ospitano la sua produzione fotografica.

Un altro aspetto, che direi non secondario, della forte carica artistica ed espressiva di Sirni è, appunto, la fotografia. Anche qui vi domina la luce. Qui, l’ombra e il chiaroscuro sono prevalenti. Il gioco della luce sui volti e sui primi piani e quello delle ombre sull’acqua o sugli occhi o sui paesaggi naturalistici diventa un divertissement ancora una volta sensuale e gradevole.

I primi piani di Sirni, a mio avviso, appartengono alla scuola del ritrattismo classico e rinascimentale.

Intanto, c’è da dire che nelle fotografie ritrattistiche di Sirni ha luogo una simpatetica interazione tra soggetto e soggetto: tra il soggetto che guarda e fotografa e il soggetto “altro” che ci guarda ed è guardato. Il ritrattismo fotografico -dicevo- è figlio di quello pittorico. Anche in Sirni è così.

Anche le sue fotografie naturalistiche o paesaggistiche, dove i soggetti fotografati sono “oggetti”, cose, animali, monumenti o eventi, hanno un background pittorico.

Che cosa viene prima in Sirni: la pittura o la fotografia? Impossibile -direi- rispondere al quesito. In Sirni viene, prima di ogni cosa, in pittura il colore; nella fotografia il “guardare”. La poetica della sguardo è condizionata -direi ancora- da una forte carica di sensualità che a me pare ermafrodita e bi-sessuale. Il bello maschile e il bello femminile si fondono e confondono e non hanno confini né demarcazione. Anche i paesaggi hanno -a me pare- alcunché di femminile e di maschile fuso e confuso.

I ritratti di Sirni, altresì, sono omofili ed eterofili; sono lussureggianti, mai lussuriosi, né mai lascivi, anche se fanno tracimare, cioè traboccare, straripare e dirompere una carica sensuale erotica nel senso di Platone e Freud.

Il ritrattismo di Sirni, altresì, che è anche fenomenologia dell’arte fisiognomica, ha un’intenzionalità latente: quella di “possedere” il soggetto ritratto, di afferrarlo, quasi toccarlo carnalmente, quasi sfiorarlo tattilmente (si vedano il ritratto “serio” della madre o quelli di altre figure femminili e maschili).

I ritratti di Sirni non intendono essere mezzi-busti in posa né riproduzione delle fattezze realistiche di una persona: intendono valere come scavo interiore. Di fronte, di profilo, di lato, con un taglio quasi sempre perfetto i ritratti di Sirni, forse, sono auto-ritratti. A volte c’è ironia e sberleffo; altre volte gioco e divertimento, ma sempre c’è voyeurismo elegante, sobrio e calibrato. Non c’è, dunque, una tendenza idealizzante, come nella ritrattistica rinascimentale o fiamminga; c’è, di contro, un’estetizzazione del sentimento della simpatia.

“Farai la figura in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile.”

Leonardo Da Vinci

“Vorrei fare il ritratto di un amico artista … Quest’uomo sarà biondo. Vorrei mettere nel quadro la mia stima, l’amore che ho per lui. Anzitutto lo dipingerò tale e quale con la maggiore fedeltà possibile. Ma il quadro non sarà finito così. Per finirlo divento adesso un colorista arbitrario. Esagero il biondo della capigliatura, arrivo ai toni aranciati, ai cromo, al giallo limone pallido. Dietro la sua testa, invece di dipingere il muro banale di un appartamento meschino, faccio un semplice fondo del blu più intenso che posso trovare e con questo semplice accorgimento la testa bionda rischiarata sul fondo blu raggiunge un effetto misterioso come una stella nel profondo azzurro …”

Da una lettera di Van Gogh al fratello Theo

“Considerazioni sull’arte, nei miei ritratti. Se qualcuno non riconosce quanto essi siano veri, consideri che il mio compito non è quello di rendere i tratti esteriori (ciò che si ottiene anche con una fotografia), ma di penetrare nell’intimo. Io ritraggo anche i reconditi moti del cuore. Scrivo parole sulla fronte e attorno agli angoli della bocca. I miei volti umani sono più veri dei reali.”

Tratto da i “Diari” di Paul Klee

Le citazioni di cui sopra illustrano il percorso anche fotografico di Sirni, laddove alcune sue figure femminili si stagliano e sdraiano su un divano rosso o su uno sfondo blu cobalto intenso.

Nella seconda metà del secolo XX gli impressionisti, da Claude Monet a Edgar Degas e da Henri Toulouse-Lautrec a Renoir, superarono la fredda artificiosità della "posa" accentuando l'attenzione al carattere e alla fisionomia del modello. L’Impressionismo sfalda i contorni in una luminescenza indistinta dove la forma dilaga, con accenti intimisti incentrati sul virtuosismo degli effetti cromatici. Sarà l’Espressionismo, con l’esasperata deformazione lineare dei volti di Munch e le “devastazioni fisiognomiche” di Van Gogh, a tradurre nel modo più drammatico e definitivo la sofferenza interiore di un mondo sull’orlo di un baratro. Lo scoppio della prima guerra mondiale portò gli artisti al progressivo spostarsi dell’attenzione dal ritratto all’autoritratto dove soggetto ed oggetto coincidono in unione empatica. E’ così in Sirni che sembra avere appreso e assorbito a perfezione le lezioni dell’impressionismo e dell’espressionista sia in pittura sia in fotografia.

Poi, verrà il ritratto picassiano cubista: dove emergeranno il deragliamento del senso, la distorsione del soggetto e la schizofrenia dell’io e del tu. Anche alcuni ritratti di Sirni sono “deraglianti” dal senso.

Con Freud, dopo la pubblicazione del suo Interpretazione dei sogni s’intuisce che la fisionomica converge inevitabilmente nella psicologia e non sarà più possibile guardare un volto senza leggervi l’interiorità.

Inutile aggiungere che lo stile fotografico di Sirni, che è anche scandaglio dell’interiorità, ha molto in sintonia sia con la fotografia giornalistica sia con quella della moda. In questo senso, avrebbero una richiesta di mercato abbastanza quotata.

Secondo un noto fotografo ritrattista, Ferdinando Scianna, ogni ritratto è in realtà un auto-ritratto. In questi ritratti-autoritratti di Sirni non c’è solo l’apparire e l’apparenza: c’è il sussistere e il consistere. Restano ritratti dell’apparire soprattutto per i soggetti ritratti.

Roberto Mordaci, professore di Filosofia Morale all'Università Vita-Salute San Raffaele, ha affermato che la «chiave di lettura di un ritratto ha un grande peso per ciascuna persona fotografata e che, nel nostro Occidente avanzato, essere pubblicati su una rivista presenta, ad esempio, il significato di volere entrare in un documento. Anche questo è un segno di voler "essere", e ciò vuole dire mettersi in gioco, esporsi. La fotografia non ruba l'anima, ma la mette a nudo. Noi siamo fotografi e sappiamo bene che la fotografia può ingannare. Quindi, proprio da fotografi, siamo contenti quando gli esperti di comunicazione ci dicono che un'immagine risulta vera se il tentativo che l'ha generata è sincero. Su questa base scendiamo sul campo, impugniamo l'obiettivo, perfezioniamo la tecnica, stabiliamo un dialogo diretto con chi vogliamo riprendere. Sinceri, lo siamo di sicuro. Bravi fotografi, speriamo di sentircelo dire dal soggetto stesso».

Un ritrattista fotografico, poi, non può essere timido. Deve essere irriverente. Sirni lo è. Altrettanto sfacciati, con la loro faccia in primo piano, non senza faccia né privi di connotati, sono i soggetti dei suoi ritratti, che appunto ci mettono la faccia, cioè si mettono in gioco, e a volte si mettono in posa per apparire nell’apparire con la speranza di esistere e con-sistere, sussistere ed essere fondati, cioè trovare fondamento (ubi consistam), in un clic.

La bellezza salverà il mondo. Al mondo è affidato il compito di salvare la bellezza. Lo hanno detto sia Fëdor Dostoevskij sia il pontefice Benedetto XVI.

Belli i quadri di Giuseppe. Belli i suoi ritratti-autoritratti, luogo della beltà umana e terrena. Belle ancora le sue imago mundi fotografiche.

 

Mistretta, Giovedì 20 novembre 2008

Giovedì 7 Aprile 2011

©Sebastiano Lo Iacono per Mistrettanews2008/2011

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