Oppholdsvaer : la luce del giorno dopo la pioggia - NORVEGIA
Wabi
Nel Giappone medievale i poeti e i sacerdoti zen indirizzavano i giapponesi verso aspetti del mondo ai quali di rado gli occidentali hanno dedicato pubblicamente un’attenzione più che trascurabile o casuale: fiori di ciliegio, pezzi deformi di ceramica, sentieri di ghiaia passata al rastrello, muschio, la pioggia che cade sulle foglie, cieli autunnali tegole di tetti, legno grezzo.
E’ nata una parola, wabi, della quale non a caso nelle lingue occidentali manca un equivalente diretto, che individua la bellezza nelle cose modeste, semplici, incompiute, transitorie. E’ wabi trascorrere una serata da soli in una casetta nei boschi ad ascoltare la pioggia che cade. Wabi sono una serie scompagnata di stoviglie, recipienti anonimi, muri rovinati e pietre consunte dalle intemperie e coperte di muschi e licheni. I colori più wabi sono il grigio, il nero e il marrone.
Immergerci nell’estetica giapponese e coltivare una sintonia con le sue atmosfere può contribuire a prepararci per il giorno in cui, in un museo di ceramiche, c’imbatteremo per esempio in tazze da tè tradizionali create dall’artista Honnami Koetsu. Non crederemo - come avremmo fatto senza l’eredita di seicento anni di riflessioni sul fascino del wabi – che questi esemplari siano strani sgorbi fatti di materia informe. Avremmo imparato ad apprezzare una bellezza che non eravamo nati per vedere.
A. de Botton
dal libro “Architettura e felicità”
“Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato, in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero, o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti poi la nostra impronta. La differenza tra l’uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere, sta nel tocco, diceva. Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, sul quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta una vita”.
Da ‘Fahrenheit 451’ di Ray Bradbury
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Potrei stupirvi con effetti speciali...Potrei fare cappotto puntando i riflettori sullaFamiglia di MaSSIMO. Potrei provare a raccontarvi la storia di una famiglia che ha convissuto con la fatica...senza raccontarla ,senza evocarla mai . Non lo farò! Massimo ,fratello di Luigi ha uno stile fotografico che racconta u… Read more
Potrei stupirvi con effetti speciali...Potrei fare cappotto puntando i riflettori sullaFamiglia di MaSSIMO. Potrei provare a raccontarvi la storia di una famiglia che ha convissuto con la fatica...senza raccontarla ,senza evocarla mai . Non lo farò! Massimo ,fratello di Luigi ha uno stile fotografico che racconta una parte della storia della famiglia ..Luigi ne racconta un' altra . Visi ,segni della fatica,sport,famiglia...Ma sopratutto ritratti ,visi e facce di quelle anime da esplorare sono la firma di Massimo. Grande passione per il luogo e per il luogo anche nelle radici di quei frutti che maturati divengono i sapori della terra ... Massimo ,in sintesi è moderno quanto basta ,,,ma ben disposto ad una profonda eplorazione del passato. Ovviamente grande stima per Lui è la conseguente chiosa di questo flasch.
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