Andrea Scandolara nasce a Varese nel 1948. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Gorizia dove ha modo di frequentare il centro culturale dei gesuiti. E’ proprio lì che tra le altre attività è presente una ‘sezione fotografica’ dotata di laboratorio di sviluppo e stampa del bianco e nero. All’età di 12 anni comincia a fotografare usando una vecchia Voitgländer 6x9 a soffietto prestata da una zia. Usa esclusivamente il bianco e nero per la possibilità di manipolare direttamente negativi e stampe; inoltre a quei tempi i costi del colore sono proibitivi. A 18 anni trascorre i mesi estivi in Svizzera a lavorare in un albergo: con il guadagno acquista la sua prima macchina fotografica, una Topcon reflex di piccolo formato e due obiettivi, uno è un 135 mm che egli preferisce perché appiattisce la prospettiva e restituisce la realtà di tre dimensioni su una superficie di due dimensioni, quelle di una fotografia.

A 22 anni si trasferisce a Padova e pensa nel frattempo di dedicarsi alla fotografia con l’intento di guadagnarsi da vivere con questa. Non sarà così. Lentamente incontra disaffezione per l’arte di Nadar e dopo poco non riuscirà neppure a fare le foto ricordo dei familiari. Una delle difficoltà è data dalla diffusione generalizzata del colore che egli non ama e che non gli permette di trattarlo direttamente in modo da ottenere i risultati voluti.

All’età di 43 anni, dopo un intervento di trapianto di cornea che sana un difetto congenito, riprende a fotografare, questa volta usando il colore. Qualche suo amico, con invito alla riflessione, ha accostato i due eventi, quello clinico-oculistico e quello della nuova ricerca espressiva attraverso l’immagine, ed a colori per giunta.

Usando la macchina fotografica non come uno strumento per riprodurre la realtà, ma come strumento per disegnare una realtà, realizza una serie di foto sui muri, porte e finestre comprese. Così crepe e macchie, abbandono materiale e stratificazione di opere umane, oltre che casuale armonia, ricompongono un certo senso della vita; che non è facile, non è necessariamente a lieto fine. Questa serie di foto, intitolata ‘Il grido dei muri’ viene esposta nel 1998 a Vigonza e poi, nel 1999 a Rivarolo Canavese (TO).

Nel 2007 espone a Gorizia una prima parte di una ricerca sulle stazioni ferroviarie europee, stazioni che egli vede come metafora del viaggiare, come luoghi di incontri, di abbandoni e ricchi di forti emozioni; così luci ed ombre, colori vivaci e grigi diffusi fanno il verso ai diversi sentimenti che si provano in quei luoghi.

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La prima cosa che mi ha colpito delle foto di Andrea è stata l'armonia, nelle sue composizioni semplici e ben bilanciate, delle linee e delle curve. Andrea compone, con le ombre, piacevoli disegni e con la luce trasversale,che lui ama, riesce a far parlare la materia mettendo in risalto la vita vissuta delle cose che … Read more

La prima cosa che mi ha colpito delle foto di Andrea è stata l'armonia, nelle sue composizioni semplici e ben bilanciate, delle linee e delle curve. Andrea compone, con le ombre, piacevoli disegni e con la luce trasversale,che lui ama, riesce a far parlare la materia mettendo in risalto la vita vissuta delle cose che fotografa. Sa cogliere, inoltre, momenti di umanità con discrezione e poesia.

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April 13, 2008